Allarme pignoramento, ecco quanto possono davvero toglierti dallo stipendio: la somma è incredibile

In Italia, il pignoramento dello stipendio rappresenta una misura sempre più frequente per il recupero di crediti insoluti.

Tuttavia, la legge tutela il debitore, soprattutto per quanto riguarda la somma massima che può essere sottratta dal proprio reddito da lavoro.

L’articolo 545 del Codice di Procedura Civile (c.p.c.) definisce i limiti e le tutele che si applicano in questi casi, garantendo al lavoratore e alla sua famiglia la possibilità di conservare una quota di denaro indispensabile per il sostentamento quotidiano.

Limiti e tutele nel pignoramento dello stipendio

La normativa vigente distingue due scenari fondamentali riguardo al pignoramento di somme accreditate sul conto corrente. Da un lato, vi sono le somme già presenti sul conto al momento della notifica dell’atto di pignoramento; dall’altro, quelle accreditate successivamente.

Nel primo caso, le giacenze precedenti alla notifica sono protette dalla legge fino a un importo pari a tre volte l’assegno sociale, che per il 2025 ammonta a 548,69 euro. Ciò significa che la somma non pignorabile si attesta a 1.616,97 euro. Questa franchigia opera automaticamente e non richiede alcuna azione da parte del debitore: la banca, in qualità di soggetto terzo pignorato, è obbligata a lasciare libere queste somme al momento della notifica. L’obiettivo è garantire un “minimo vitale” che consenta al lavoratore di far fronte alle spese essenziali.

Quando invece si tratta degli accrediti di stipendio successivi all’atto di pignoramento, la protezione non si basa più sulla soglia del triplo dell’assegno sociale ma è regolata dai limiti ordinari di pignorabilità. Per i crediti di natura ordinaria, la legge consente il pignoramento fino a un massimo di un quinto (20%) del netto mensile, cioè dopo le trattenute fiscali e previdenziali. La banca deve quindi bloccare solo una parte della retribuzione, lasciando al lavoratore almeno quattro quinti della stessa.

Per i debiti tributari, invece, si applica un regime speciale previsto dall’articolo 72-ter delle disposizioni sulle riscossioni, che differenzia la quota pignorabile in base all’ammontare dello stipendio:
– fino a 2.500 euro mensili è pignorabile un decimo (10%);
– tra 2.501 e 5.000 euro la soglia sale a un settimo (circa 14,3%);
– oltre 5.000 euro si può arrivare a un quinto (20%).

Un’ulteriore tutela importante riguarda l’ultimo accredito di stipendio prima che venga disposto il blocco delle somme da parte della banca: quest’ultima mensilità non può essere pignorata, garantendo così una disponibilità economica minima fino al mese successivo.

In un contesto parallelo di tutela patrimoniale, la recente pronuncia della Corte di Cassazione del 26 ottobre 2025 ha chiarito importanti aspetti riguardanti il sequestro della prima casa nei procedimenti penali per reati fiscali. La sentenza è nata da un caso in cui un’indagine per dichiarazioni fraudolente ha portato al sequestro preventivo di beni tra cui un immobile abitativo adibito a residenza familiare, pur essendo cointestato con il coniuge dell’indagato.

La Corte ha confermato che, nei procedimenti penali, il vincolo cautelare può colpire anche la prima casa del debitore, a differenza di quanto previsto nell’ambito tributario dove l’articolo 76 del D.P.R. n. 602/1973 protegge l’unico immobile di proprietà contro l’espropriazione per debiti fiscali. In sostanza, la tutela prevista per la “prima casa” nel processo tributario non si estende automaticamente ai casi penali, dove l’obiettivo è la confisca del profitto derivante dal reato e non il semplice recupero di un credito.

La Cassazione ha altresì precisato che, quando il profitto illecito non è più disponibile, il giudice può disporre la cosiddetta confisca per equivalente, cioè può aggredire beni di valore corrispondente, compresa l’abitazione principale, anche se regolarmente acquistata. Tale decisione si fonda sul principio generale contenuto nell’articolo 2740 del Codice Civile, secondo cui il debitore risponde delle proprie obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri, salvo eccezioni esplicitamente previste.

Per quanto riguarda la legittimazione a impugnare il sequestro di beni intestati a terzi, la Corte ha confermato che l’indagato può farlo solo se dimostra un interesse diretto e attuale relativo alla misura cautelare. Nel caso esaminato, la semplice necessità di ripristinare il patrimonio familiare non è stata ritenuta sufficiente, rigettando così il ricorso.

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