Un piccolo passo, forse, ma nella direzione giusta: quella di un fisco più equo, che non punisca il lavoro ma lo valorizzi.
La nuova Legge di Bilancio ha portato alcune novità sui buoni pasto, regalando un sorriso a tanti lavoratori che sono costretti per svariate motivazioni a pranzare o cenare lontano da casa. La misura nello specifico va nella direzione di un alleggerimento fiscale, una “boccata d’ossigeno” tanto per i dipendenti quanto per le imprese.
Ma attenzione: non si tratta solo di un piccolo ritocco tecnico. L’intervento, che entrerà pienamente in vigore dal 2026, cambia le regole e apre la strada a un utilizzo dei buoni pasto più vantaggioso e più trasparente. In questo modo si cerca di incentivare i consumi e premiare chi lavora, semplificando al tempo stesso la vita delle aziende.
Chi ogni giorno mangia fuori casa o utilizza i ticket per fare la spesa al supermercato lo sa bene: i buoni pasto rappresentano un aiuto concreto per far quadrare i conti a fine mese. La novità annunciata dal governo non solo li rende più convenienti, ma sancisce anche un principio importante: il sostegno al reddito dei lavoratori non deve essere tassato come un privilegio, ma riconosciuto come un diritto.
Cosa cambia con la nuova Legge di Bilancio
Prima di tutto, va chiarito un punto fondamentale: i buoni pasto non sono un diritto previsto per tutti i lavoratori. La legge non impone alle imprese di concederli. Si tratta di un benefit facoltativo, cioè di un vantaggio economico aggiuntivo che l’azienda può scegliere di offrire ai propri dipendenti come parte della retribuzione “indiretta”.

Per questo motivo, la loro presenza o assenza dipende dalle politiche interne di ciascuna azienda o da specifiche previsioni nel contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL). Alcuni contratti lo prevedono come beneficio standard, altri lo lasciano alla discrezionalità del datore di lavoro.
Fino a oggi i buoni pasto in formato elettronico erano esenti da tasse e contributi fino a un massimo di 8 euro al giorno (4 euro per quelli cartacei). Dal 2026 la soglia salirà a 10 euro, senza imposte né trattenute. In pratica, chi riceve ticket elettronici potrà godere di un piccolo aumento di potere d’acquisto, mentre le aziende avranno la possibilità di offrire un beneficio più consistente senza costi aggiuntivi.
Un dettaglio non da poco: per chi lavora circa 220 giorni l’anno, l’aumento di 2 euro al giorno equivale a 440 euro netti in più. E se consideriamo che i buoni non utilizzati quotidianamente possono essere spesi nei supermercati fino a un massimo di otto alla volta, il vantaggio diventa ancora più concreto.
Un’altra modifica importante riguarda le commissioni applicate agli esercenti. Da settembre, infatti, le società che emettono buoni pasto non possono più chiedere commissioni superiori al 5% del valore nominale del ticket. In passato, in alcuni casi, arrivavano addirittura al 20%, penalizzando bar, ristoranti e supermercati.
Abbassando le commissioni, il valore effettivo del buono cresce: gli esercenti guadagnano di più, i lavoratori possono contare su un servizio migliore e le imprese trovano più punti vendita disposti ad accettarli. La riforma dei buoni pasto è pensata come un’operazione “win-win”: tutti ne traggono vantaggio. Lo Stato rinuncia a una minima parte di gettito fiscale ma, in cambio, ottiene più consumi e più entrate IVA grazie all’aumento delle spese quotidiane. Si stima che i benefici fiscali costeranno circa 75-90 milioni di euro l’anno, ma porteranno fino a 1,9 miliardi di euro di nuovi consumi.