Accade spesso: arriva la bolletta del gas e l’importo è inspiegabilmente alto. Il primo pensiero corre al contatore, magari vecchio o difettoso, ma poi sorge la domanda cruciale: chi deve dimostrare se i consumi sono reali o gonfiati da un errore tecnico?
È quanto è accaduto a un condominio romano, alle prese con una fattura da oltre 175 mila euro. Una cifra enorme, che ha innescato un contenzioso culminato nella recente sentenza n. 5587/2025 della Corte d’Appello di Roma. Il caso, oltre a risolvere una disputa concreta, ha chiarito un principio importante: quando il condominio solleva contestazioni circostanziate sui consumi, spetta al fornitore provare che il contatore funziona correttamente.
Un dettaglio che cambia molto, perché nella maggior parte delle cause simili il peso della prova ricadeva di fatto sull’utente, spesso privo di mezzi tecnici per dimostrare un guasto.
Quando il condominio ha ragione a contestare
La vicenda giudiziaria nasce da un decreto ingiuntivo richiesto dal fornitore, deciso a recuperare il credito per le forniture di gas. Il tribunale di primo grado, però, aveva accolto l’opposizione del condominio, evidenziando carenze nella documentazione presentata: fatture prescritte, consumi stimati e, soprattutto, l’assenza di prove sul corretto funzionamento del contatore.
In appello, la società fornitrice aveva insistito sulla presunzione di veridicità delle letture, ma i giudici hanno ribadito un principio già affermato anche dalla Cassazione (sentenza 297/2020): la registrazione dei consumi è assistita da una presunzione semplice di correttezza, che può essere superata se l’utente presenta contestazioni precise e documentate.
Nel caso di Roma, il condominio aveva più volte chiesto una verifica tecnica del contatore, indicando motivi concreti per sospettarne il malfunzionamento. Da quel momento, la palla è passata al fornitore, che avrebbe dovuto dimostrare, con dati e prove, che l’apparecchio funzionava e che le letture erano reali.

La Corte d’Appello ha spiegato che i guasti dei contatori sono spesso tecnici e non visibili a occhio nudo, quindi non può pretendersi che un condominio sia in grado di accertarli autonomamente. Per questo, una contestazione puntuale basta a spostare l’onere probatorio sulla società fornitrice.
Non solo: la Corte ha anche chiarito che non è possibile supplire alla mancanza di prove con nuove consulenze tecniche in appello. Se il fornitore non documenta tutto già in primo grado, perde la possibilità di farlo successivamente.
Il messaggio è chiaro: se un condominio (o un singolo utente) nota importi anomali nelle bollette del gas, può e deve chiedere spiegazioni. Le contestazioni devono essere dettagliate, meglio se supportate da comunicazioni scritte e richieste di verifica dello strumento di misura.
A quel punto sarà il fornitore a dover provare che il contatore non presenta difetti e che i consumi riportati corrispondono a quelli effettivi. Un passaggio che tutela concretamente chi paga le bollette, ristabilendo un equilibrio nei rapporti con le grandi società energetiche.
La decisione della Corte d’Appello di Roma segna un punto fermo: non basta invocare la presunzione di correttezza dei dati di consumo, serve dimostrarla. E questo vale per ogni situazione in cui un contatore sospetto genera un debito contestato.
In sostanza, chi paga ha diritto alla trasparenza. E se la bolletta sembra troppo alta, oggi la legge offre uno strumento in più per chiedere conto, senza timore di pagare più del dovuto.