Forse non lo sai, ma ci sono dei casi in cui il tuo datore di lavoro deve darti dei soldi. Puoi richiederli se hai questi requisiti.
Il tema del demansionamento è una delle questioni più delicate e ricorrenti nel diritto del lavoro italiano. Non si tratta soltanto di una violazione contrattuale, ma di un’offesa alla dignità professionale del dipendente, che vede compromessa la propria identità lavorativa e la possibilità di crescita.
La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 3400 del 2025 offre un nuovo e importante chiarimento in materia, ribadendo con forza il principio per cui l’azienda deve garantire lo svolgimento di mansioni coerenti con la qualifica e il livello di inquadramento del lavoratore.
Il tuo capo ti deve dei soldi e non lo sai: il risarcimento che spetta ai lavoratori
Il giudizio trae origine dal ricorso di un operatore specialista nel settore del customer care, formalmente inquadrato al V livello del contratto collettivo, ma di fatto impiegato in attività di ben diversa complessità. Nel corso del tempo, il lavoratore si era visto progressivamente privato delle proprie responsabilità tecniche e del potere di coordinamento, fino a svolgere un lavoro ripetitivo e rigidamente vincolato a procedure informatiche standardizzate.

-diritto.net
Una trasformazione che, agli occhi della magistratura, non costituiva un mero riassetto organizzativo, ma un vero e proprio svuotamento di ruolo. Il tribunale prima e la corte d’appello poi hanno riconosciuto la fondatezza della domanda del lavoratore, condannando la società alla reintegra nelle mansioni corrispondenti al livello contrattuale e al risarcimento del danno professionale.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3400/2025, ha confermato la correttezza delle decisioni di merito, chiarendo che il demansionamento va accertato attraverso un percorso logico-giuridico rigoroso, articolato in tre fasi:
- Accertamento dei fatti, ovvero delle mansioni effettivamente svolte dal dipendente;
- Individuazione dei livelli e delle qualifiche previsti dal contratto collettivo applicabile;
- Confronto concreto tra le mansioni esercitate e quelle proprie del livello rivendicato.
Solo attraverso tale comparazione è possibile stabilire se il lavoratore sia stato dequalificato e, conseguentemente, abbia diritto al risarcimento del danno alla professionalità.
Nel caso esaminato, la Cassazione ha osservato che il dipendente non disponeva più di autonomia decisionale né di responsabilità operative, elementi essenziali per il V livello contrattuale. L’attività, ormai ridotta a un’esecuzione meccanica di procedure guidate da software, non richiedeva più competenze specialistiche o capacità di coordinamento.
Uno dei punti più significativi della decisione riguarda la quantificazione del danno non patrimoniale, riconosciuto nella misura di mille euro per ogni mese di dequalificazione, per un periodo complessivo di circa tre anni.