Oltre 400 euro in più in busta: cosa cambia con la nuova Legge di Bilancio 2026

Da settimane, la promessa di “oltre 400 euro in più all’anno” fa il giro delle buste paga virtuali. È il simbolo scelto dal Governo per raccontare la nuova riforma Irpef inserita nella Legge di Bilancio 2026: un taglio che, sulla carta, dovrebbe alleggerire la pressione fiscale e rafforzare il ceto medio. Ma dietro le cifre ottimistiche si nasconde una distribuzione dei benefici tutt’altro che uniforme. Le analisi di Istat e Banca d’Italia raccontano una realtà più sfumata, dove il vantaggio cresce con il reddito.

Un impiegato medio vedrà poco più di un centinaio di euro in più nel portafoglio, mentre un dirigente potrà arrivare a guadagnarne oltre quattrocento. L’85% delle risorse destinate al taglio Irpef, infatti, andrà al 40% delle famiglie più ricche tra quelle coinvolte. La misura, dunque, non cambia solo le buste paga: ridisegna almeno in parte il profilo fiscale del Paese.

Legge di Bilancio 2026: taglio alle aliquote e nuovo equilibrio fiscale

La manovra 2026 interviene principalmente sul secondo scaglione Irpef, quello compreso tra i 28.000 e i 50.000 euro. L’aliquota scende di due punti, dal 35% al 33%, con l’obiettivo dichiarato di sostenere i redditi medi. Il problema, spiegano gli economisti, è che proprio in questa fascia si concentrano anche molti contribuenti ad alto reddito, che beneficiano più degli altri della riduzione.

In termini pratici, le stime parlano chiaro:

  • 411 euro medi in più per il 20% di famiglie più ricche;
  • 201 euro per il 20% di famiglie con redditi più bassi;
  • 230 euro il guadagno medio per contribuente.

Un operaio o un pensionato difficilmente noterà differenze rilevanti. Secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio, il beneficio medio per queste categorie non supera rispettivamente i 23 e i 55 euro all’anno.

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Legge di Bilancio 2026: taglio alle aliquote e nuovo equilibrio fiscale – diritto.net

Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti difende la misura, sottolineando che la riforma va letta nel contesto di un percorso triennale di riequilibrio: “Negli ultimi anni ha ricordato gli interventi hanno mantenuto un profilo coerente, con attenzione ai redditi medi e familiari”.

C’è poi un effetto più silenzioso, ma decisivo: il drenaggio fiscale. Quando i salari nominali aumentano per compensare l’inflazione, molti lavoratori finiscono in scaglioni di tassazione più alti, pur mantenendo invariato il potere d’acquisto reale. La riforma, spiegano dall’Upb, riesce a compensare questo effetto solo fino a circa 32.000 euro di reddito. Oltre quella soglia, il ceto medio rischia di restare schiacciato tra inflazione e imposte, vanificando parte dei benefici annunciati.

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