Quando versare più contributi riduce la pensione: il paradosso della neutralizzazione nel sistema previdenziale italiano.
In un sistema previdenziale fondato sul principio “più versi, più prendi”, appare sconcertante scoprire che, in alcuni casi, l’aggiunta di anni contributivi può determinare una riduzione dell’assegno pensionistico. Una contraddizione solo apparente, ma concreta e ben nota a molti lavoratori che hanno vissuto transizioni professionali delicate, come il passaggio a un contratto part-time, un declassamento o un impiego meno remunerato nella fase conclusiva della carriera.
A sollevare il velo su questa anomalia è stata negli anni la Corte Costituzionale, intervenuta più volte per affermare un principio di buon senso: i contributi che abbassano l’importo della pensione possono, in determinati casi, essere esclusi dal calcolo. Ma non sempre. E non per tutti.
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Il meccanismo che genera questo paradosso affonda le radici nel sistema retributivo di calcolo pensionistico, applicabile ai lavoratori che hanno raggiunto determinati requisiti contributivi entro il 31 dicembre 1995. In questo modello, l’importo della pensione è legato alla media degli stipendi percepiti in un determinato arco temporale, in genere gli ultimi anni di lavoro.

Il presupposto, tutto sommato logico, è che la retribuzione aumenti con l’esperienza e gli avanzamenti di carriera, premiando gli ultimi periodi di attività con un assegno finale più generoso. Ma cosa accade se, per ragioni personali o professionali, un lavoratore sceglie (o è costretto) a concludere la propria attività con stipendi più bassi? Il risultato può essere una media retributiva più bassa, che finisce per deprezzare l’intera pensione, nonostante l’aumento degli anni di contributi.
Per evitare che un comportamento virtuoso si trasformi in un danno economico, la Corte Costituzionale ha riconosciuto il diritto alla neutralizzazione. Con questo termine si intende la possibilità, per il lavoratore, di chiedere all’INPS di escludere dal conteggio pensionistico quei periodi che si rivelano controproducenti.
La sentenza n. 82 del 2017 ha aperto questa possibilità ai lavoratori dipendenti che, pur avendo maturato il diritto alla pensione, hanno continuato a lavorare percependo retribuzioni inferiori. Nel 2018, lo stesso principio è stato esteso ai lavoratori autonomi.
Il diritto alla neutralizzazione, però, non è illimitato. La recente sentenza n. 112 del 2024 ha fissato paletti precisi: la neutralizzazione può essere richiesta solo per contributi figurativi o periodi non necessari ai fini del diritto alla pensione, maturati negli ultimi cinque anni prima del pensionamento, e per un massimo di 260 settimane (circa cinque anni).