Pensioni, altro che aumenti: questi pensionati rischiano di pagare più tasse dal 2026

Il Ministero dell’Economia ha recentemente confermato i tassi di perequazione delle pensioni per il biennio 2025-2026.

Nonostante questi adeguamenti siano stati pensati per contrastare l’inflazione, le simulazioni elaborate da Cgil e Spi Cgil evidenziano che la tassazione erode gran parte dei guadagni effettivi percepiti dai pensionati, generando un sostanziale divario tra aumento nominale e incremento reale del potere d’acquisto.

L’aumento delle pensioni viene influenzato da due principali meccanismi che limitano l’effettivo beneficio per i pensionati. Il primo è rappresentato dal sistema di perequazione a fasce introdotto dalla legge Fornero. Questo sistema prevede una rivalutazione completa solo fino a quattro volte il trattamento minimo (attualmente fissato a 603,40 euro). Per la quota della pensione compresa tra quattro e cinque volte il minimo, la perequazione scende al 90%, mentre per importi superiori si riduce ulteriormente al 75%. Questo meccanismo penalizza soprattutto le pensioni medio-alte, che ricevono quindi una rivalutazione più contenuta rispetto alle pensioni più basse.

Il secondo e più incisivo filtro è quello fiscale. Il sistema tributario applica l’Irpef e le relative addizionali regionali e comunali a partire dal superamento della cosiddetta “no tax area” fissata a 8.500 euro di reddito annuo. Con l’aumento della pensione lorda, molti pensionati si trovano a passare in scaglioni Irpef più elevati o a subire un incremento della percentuale media di tassazione, che riduce significativamente l’effetto reale dell’aumento nominale.

L’impatto reale degli aumenti pensionistici: le simulazioni di Cgil e Spi

Secondo le simulazioni elaborate da Cgil e Spi, nel 2026 la rivalutazione lorda cumulata per effetto della sola perequazione ammonterà al 16,46%. Tuttavia, considerando la pressione fiscale, l’aumento netto percepito dai pensionati sarà molto più contenuto. Di seguito alcuni esempi pratici basati sulle simulazioni:

  • Una pensione lorda di 800 euro nel 2022 aumenterà a 932 euro lordi nel 2026 (+16,46%), ma il netto passerà da 757 a 850 euro, con un incremento reale del 12,27%.
  • Per un assegno lordo di 1.000 euro si arriverà a 1.165 euro (+16,46%), mentre il netto crescerà da 898 a 1.014 euro (+12,93%).
  • Un importo più elevato, pari a 2.000 euro lordi, salirà a 2.329 euro (+16,46%), ma il netto aumenterà da 1.591 a 1.824 euro (+14,68%).

Questi dati dimostrano che, nonostante un aumento lordo significativo, l’incremento netto si attesta generalmente intorno al 12-13%, ben al di sotto dell’inflazione cumulata nel periodo, con un conseguente peggioramento del potere d’acquisto reale dei pensionati.

Un aspetto particolarmente critico evidenziato dall’analisi è quello che viene definito un “paradosso redistributivo”. Il confronto riguarda il rapporto tra trattamenti previdenziali e prestazioni assistenziali, come l’Assegno Sociale o le pensioni minime integrate da maggiorazioni sociali. Le prestazioni di natura assistenziale sono infatti solitamente esenti da imposizione fiscale, mentre le pensioni previdenziali, soprattutto se di importo superiore alla no tax area, sono soggette a tassazione.

Questa disparità può portare a risultati paradossali, dove un pensionato con una lunga carriera contributiva percepisce un netto inferiore rispetto a chi beneficia di un assegno sociale, nonostante quest’ultimo non abbia versato contributi previdenziali. Ecco alcuni casi concreti:

  • Un pensionato con un assegno di 384,62 euro che riceve l’Assegno Sociale può arrivare a percepire 749,11 euro netti al mese, senza alcuna trattenuta fiscale.
  • Un altro pensionato con un assegno di 692,31 euro, tra maggiorazioni e tasse, percepisce un netto di 710,47 euro, cioè 38 euro in meno rispetto al primo caso, nonostante una storia contributiva più consistente.
  • Un assegno di 807,69 euro, senza diritto a maggiorazioni e soggetto a trattenute fiscali, si traduce in un netto di 745,97 euro, inferiore di 3 euro rispetto al pensionato assistito.

Questo fenomeno genera una situazione in cui chi ha contribuito maggiormente al sistema previdenziale può ritrovarsi con un reddito netto inferiore rispetto a chi usufruisce di prestazioni assistenziali, evidenziando una forte criticità nell’equità del sistema pensionistico italiano.

Le sigle sindacali sottolineano come tale situazione sia particolarmente problematica, perché colpisce pensionati in condizioni economiche fragili, amplificando le disuguaglianze anziché attenuarle. In questo contesto, il dibattito sulla riforma della previdenza e sul sistema fiscale applicato alle pensioni continua ad essere centrale per garantire maggiore giustizia sociale nel sistema pensionistico nazionale.

Change privacy settings
×