L’acquisto su eBay non e’ un contratto legalmente vincolante

Uri Geller non è riuscito a mantenere nelle sue mani la  casa di Elvis a Memphis, da lui acquistata su eBay: i proprietari della casa l’hanno privatamente venduta ad altro acquirente. eBay sostiene che le aste immobiliari sono solo eventi  per generare pubblicita’ e non contratti legalmente vincolanti.

Opinioni- Calcio: una clausola contro la beffa

"Juventus e Milan possono condizionare a loro vantaggio le partite scegliendo arbitri mediocri, abituati a squadre minori, e accondiscendenti (almeno nel loro subconscio) nei confronti dei grandi clubs (..). Altri arbitri che hanno preso decisioni contro la Juve si sono visti relegati ad arbitrare partite di serie B. (…) Solo in poche occasioni alcuni di questi sordidi fatti sono emersi alla luce del sole. (…) La cosa più scioccante è che spesso la Juventus ha vinto il campionato alla fine della stagione, sulla base di un qualche arbitraggio discutibile. (…) E anche se la Juve commetteva più falli di ogni altra squadra, riceveva il minor numero di cartellini rossi, una regolarità statistica alquanto sospetta.(…)"

Sembra il rapporto di un giudice sportivo. Invece si tratti di stralci di un libro scritto due anni fa (1) , in epoca non sospetta, da un giornalista americano, Franklin Foer, in passato collaboratore del New York Times e del Washington Post. Fa riflettere per due ragioni: i) dimostra che calciopoli era evidente tra gli addetti ai lavori e, ii) induce a pensare che forse una stampa sportiva più indipendente avrebbe potuto giocare un ruolo importante nel denunciare la corruzione nel calcio. Senza l’intervento della magistratura e le intercettazioni, gli illeciti sportivi probabilmente non sarebbero mai venuti a galla.
Il mondo del calcio non ha saputo in tutti questi anni isolare, denunciare e reprimere gli illeciti di cui era testimone. Senza che si cambino le regole, non lo sarà neanche in futuro. Non ha gli anticorpi per farlo. Perché chi commette gli illeciti, non paga. Pagano solo i tifosi, quelli destinati comunque a sostenere la squadra. Non c’è neanche sanzione sociale contro chi è accusato di avere compiuto gli illeciti. Al contrario, Luciano Moggi può permettersi oggi di avere una rubrica tutta per sé su "Libero" da cui invita i lettori ad accettare gli errori degli arbitri!

Non devono pagare solo i tifosi

Solo i tifosi pagano le calciopoli. Non sanno smettere di seguire la loro squadra. Scoprono che avevano sofferto, che la loro squadra era stata retrocessa per favorire irregolarmente un’altra squadra. Oppure apprendono di aver gioito per titoli conquistati e partite vinte con l’aiuto di pratiche illecite. Questi tifosi non si vedranno mai restituiti i soldi da loro spesi per i biglietti dello stadio, le trasferte o l’abbonamento alla pay per view. E sono gli unici ad essere danneggiati anche dalle (poche) sanzioni prese dalla giustizia sportiva: le retrocessioni e i punti di penalità tolgono interesse al campionato e fanno fuggire altrove i propri giocatori preferiti.
Gli ex amministratori delle società, i veri responsabili degli atti illeciti (dal punto di vista della giustizia sportiva) anche questa volta se la sono cavata benissimo. Sono sì fuori dal sistema calcio e senza telefonino aziendale, ma non sembra che risponderanno economicamente (se non per cifre irrisorie) per il loro comportamento. Dimettendosi dalle loro cariche, hanno determinato automaticamente la loro uscita dall’alveo della giustizia sportiva. Nessuno parla di responsabilità patrimoniale. Non vi è infatti alcuna traccia di iniziative di responsabilità nei confronti degli amministratori. Si tratta di procedimenti particolarmente difficili, e non sarebbe nemmeno chiaro se gli atti dei singoli amministratori potrebbero essere considerati illeciti da un giudice. E’ difficile quantificare, una volta compiuto l’illecito, il danno patrimoniale derivante dalla retrocessione o da ogni punto in meno. E poi, anche se tali iniziative fossero messe in atto, gli amministratori probabilmente finirebbero per dire che le società stesse erano in realtà al corrente di tutte le telefonate. Insomma, quello della responsabilità patrimoniale degli amministratori sembra essere una strada che nessuna società vuole intraprendere. Di qui l’impunità degli amministratori. Per i tifosi, oltre il danno, c’è la beffa.

Una clausola nel contratto

C’è un modo per evitare almeno la beffa, facendo sì che gli amministratori delle società che intraprendono pratiche illecite dal punto di vista della giustizia sportiva siano, almeno in parte, sanzionati: si tratta di pretendere che i contratti di lavoro stipulati tra le singole società di calcio e gli amministratori contengano apposite penali legate ad atti di illecito sportivo.
In sostanza, il contratto dovrebbe contemplare la possibilità che la società venga punita dalla giustizia sportiva per fatti illeciti commessi dagli amministratori. A diverse sanzioni dovrebbero corrispondere diverse penali. Se la squadra del cuore dovesse essere retrocessa per colpa degli amministratori, questi ultimi dovrebbero pagare alla società milioni e milioni di euro, senza contenzioso sulla responsabilità per il danno. Il contratto dovrebbe, in altre parole, contenere una clausola in cui si stabilisce che un comportamento illecito di un dirigente – sancito da una decisione definitiva della giustizia sportiva – sarà sanzionato, ad esempio, con 1 milione di euro per la retrocessione, 100.000 euro per ogni punto di penalità, etc…E’ un modo di risolvere ex-ante il problema della quantificazione dell’illecito.

Possibili obiezioni alla proposta

Primo, si può obiettare che il dirigente in questione può anche aver concorso all’illecito e quindi non è giusto che paghi solo lui. In questo caso la sanzione potrebbe essere proporzionata al suo grado di coinvolgimento e la FIGC potrebbe prescrivere ai giudici sportivi di indicare chiaramente la "percentuale" di responsabilità (ad esempio, Moggi 60%, Giraudo 40%). La peculiarità dell’ordinamento sportivo faciliterebbe la diffusione di tali clausole, se vi fosse consenso sulla loro utilità: la FIGC potrebbe semplicemente imporle, tramite un’apposita modifica delle NOIF.
Secondo, i dirigenti posti di fronte a contratti capestro potrebbero rifarsi richiedendo compensi più alti. Vero, ma obbligando le società (anche quelle non quotate) a rendere noti i compensi dei loro dirigenti, si avrebbe un freno a questo fenomeno. Dopotutto, una società che paga tanto il proprio amministratore per compensarlo per la presenza di queste penali confessa che in casa sua gli illeciti, se non proprio tollerati, non vengono identificati e prevenuti.
Terzo, chiaramente, qualsiasi tipo di responsabilità patrimoniale è impotente di fronte all’incapienza del patrimonio del debitore: basterebbe che il dirigente di turno intestasse tutto a moglie e figli (a meno che siano essi stessi agenti o dirigenti sportivi ….), per ridurre la penale. Ma questo è un limite che chiaramente si pone di fronte a qualsiasi provvedimento di giustizia civile, non solo sportiva. Le clausole di cui sopra non sono alternative al possibile coinvolgimento della giustizia penale. Bene avere le clausole e, al contempo, rendere più incisive le sanzioni per frode sportiva, che già ci sono.
Quarta, e ultima obiezione. Invece delle clausole, non sarebbe meglio prescrivere alle società di dotarsi di modelli di organizzazione volti alla prevenzione delle frodi? La clausola contrattuale non esclude affatto questa possibilità. Al contrario, incoraggia comportamenti di prevenzione dell’illecito. Infatti, una volta firmato il contratto, si rompe la collusione fra società e amministratore nell’avvantaggiarsi dell’illecito. Dopo aver sottoscritto queste penali, c’è da giurare che i dirigenti utilizzerebbero il telefonino con molta più cautela.
Morale: con la clausola noi tifosi continueremo comunque a soffrire; ma almeno, la prossima volta, il conto del cellulare lo pagheranno anche gli amministratori.

1) How soccer explains the world : an unlikely theory of globalization. HarperCollins, 2004

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