Criminologia e fisiognomica: da Lombroso al “profiler”

In tema di criminologia e fisiognomica è stato sostenuto di recente (1) che la criminologia in senso ampio, come espresso dal Suterland, abbraccia “l’origine delle leggi, la loro violazione e la reazione alla loro violazione”, cioè il reato, il reo e la reazione sociale.

La criminologia appare oggi come una scienza complessa in quanto è sia teorica (attività speculativa, sistematica e controllabile) che pratica, in quanto tesa a limitare i danni sociali del crimine. Essa include le scienze criminali che studiano i fatti delittuosi dai vari punti di vista (la vittimologia, la politica criminale, il diritto penale, il diritto penitenziario, la psicologia giudiziaria e giuridica, la criminalistica) ed integra molte scienze umane nella propria attività (sociologia, medicina e in specie la psichiatria, pedagogia, psicologia, statistica, ecc.).

Dagli inizi della criminologia scientifica, quasi tutti i principali autori si sono cimentati nel difficile compito di creare un sistema descrittivo che permettesse la classificazione, la diagnosi e, se possibile, una indicazione prognostica e terapeutica delle varie forme di condotta criminale (10).
Si ritiene, tuttavia, comunemente, che all’origine della moderna criminologia vi sia stata anche la fisiognomica.

1. Le origini della fisiognomica nell’indagine criminale

Invero, dalle sue origini e prima ancora di avere una propria trattazione sistematica, la criminologia ha subito un costrutto pionieristico che la vedeva come “scienza infelice” alla ricerca del preteso marchio d’infamia che il male connaturasse sul viso e sul corpo dei rei (2).

Da sempre l’uomo ha cercato di scoprire o intuire l’altro o se stesso attraverso lo studio dei tratti somatici del volto dell’individuo.Tale disciplina era denominata fisiognomica , ossia l’arte di leggere la personalità dell’individuo.

Si ritiene comunemente che le origini della fisiognomica siano antichissime (3).

Già per Platone e Aristotele il corpo era concepito come riflesso dell’anima e solo quegli studenti il cui aspetto fisico suggeriva determinate capacità di apprendimento, venivano ammessi alla scuola pitagorica. L’idea della correlazione tra l’anomalia fisica e la degenerazione morale, infatti, è un topos che si ritrova sin nella concezione greca del còsmos, nello stesso tempo ordine e bellezza, e in quella del kalòs kagazòs, bello e buono. Ma è nel ‘500, con Leonardo Da Vinci che nasce la fisiognomica moderna ed il suo genio pittorico si esprime partendo dal presupposto secondo cui la fisiologia spiega le emozioni mentre la fisio-gnomica i moti dell’animo.

Lo studio dei moti dell’animo a partire dai tratti del volto, compiuto dal grande artista scienziato, autore, si presume, di un vero e proprio trattato di fisiognomica, anticipa, con straordinaria chiarezza critica, un fondamentale cammino di idee e di teorizzazioni (mai finora evidenziato e studiato dalla Storiografia), che accompagna da un lato lo sviluppo della scienza psicologica, fino alla fondazione della Psicanalisi, e dall’altro il lavoro dei pittori lungo il corso della storia occidentale.

Le opere di Giorgione, Lotto, Rembrandt, Velázquez saranno cosí in rapporto con i Trattati fisiognomici di Cardano e Della Porta, con le riflessioni filosofiche di Montaigne, Cartesio, La Rochefoucauld.
Il fondamentale passaggio settecentesco di William Hogarth è premessa alle dispute fra Lavater e Lichtenberg. Poi nell’Ottocento, in clima positivistico, la fisiognomica conosce una fortuna immensa, e palesa i suoi raggiungimenti tanto in pittura, con i Folli di Géricault e con le devastazioni fisiognomiche di Van Gogh (perfettamente informato sulla materia), quanto nella trattatistica scientifica, con gli snodi risolutivi dell’antropologia di Darwin e con la criminologia di Lombroso. Dopodiché, superate le colonne d’Ercole dell’Interpretazione dei sogni (1899), arte e scienza del profondo saranno così strettamente unite da non poter piú distinguere due percorsi autonomi, in una linea continua che segnerà tutta l’arte contemporanea fino alle creazioni di Pollock e Bacon (10).

Nel ‘600 Cartesio individuava i “moti degli occhi e del volto”, come tra i più importanti segni delle passioni, come pure “gli svenimenti, il riso, le lacrime, i tremiti e i mutamenti di colore”.
E’ evidente come, allora, ci si riferisse sempre alla “lettura” di sentimenti coscienti.
Tuttavia, è solo verso la fine del ‘700 che i segnali esterni di un individuo vengono letti anche come espressione del contesto spazio-temporale e sociale nel quale l’individuo stesso è inserito.
Le indagini scientifiche in direzione criminale iniziarono presto.
Già alla fine del diciottesimo secolo lo svizzero Johann Kaspar Lavater aveva abbozzato una teoria fisiologica chiamata l’arte della fisiognomica, attraverso la quale cercava di scoprire come le caratteristiche del volto di ogni individuo ne rivelassero il carattere.
In questo periodo (1778) il Lavater scrisse il suo famoso “Trattato di fisiognomica”.
Circa nello stesso periodo Josef Gall rispondeva con la Frenologia, una teoria che prendeva come punto di riferimento la forma del cranio in cerca di conferme sulle inclinazioni di una persona.
Sia la Fisiognomica sia la Frenologia erano applicate nello studio dei volti dei criminali vivi o morti in un tentativo di spiegare l’inclinazione al crimine attraverso la lettura di caratteristiche somatiche ataviche.
La sublimazione della fisiognomica allo studio della criminalità avvenne, tuttavia, d opera di Cesare Lombroso.
Nella sua opera principale, “L’Uomo Delinquente”, Lombroso distinse diversi tipi di criminali: il delinquente nato, nel quale si assommano le ricordate anomalie regressive e per il quale la criminalità è insita nella propria natura, e che è considerato soggetto non recuperabile, da sopprimere o da rinchiudere, in nome del diritto della difesa della società che in questi casi si sostituisce al diritto di punizione.
La quintessenza di questa teoria, quale egli la ha esposta e modificata, è che una certa percentuale di criminali, dal 35 al 40% sono nati con disposizioni criminali e che in essi si possono constatare caratteristiche anatomiche e fisiologiche particolari; il criminale epilettico; il delinquente per impeto passionale (forza irresistibile);il delinquente pazzo (criminale pazzo e debole di mente), inclusi gli individui di mentalità limitata (mattoidi) e il delinquente occasionale portato al delitto da fattori causali diversi da quelli del delinquente nato; su di essi deve essere svolta un’opera di rieducazione in istituti carcerari ben organizzati.
Come si vede, i primi quattro di questi gruppi hanno tutti una caratteristica psico-patologica.
Lo stesso Lombroso caratterizza il criminale nato come pazzo morale, e di fatto la sua classificazione può essere ridotta alla principale distinzione tra criminali normali e d anormali.
Lombroso ha poi spezzato il gruppo dei delinquenti occasionali in tre sottogruppi: gli pseudo-criminali, cioè individui che sono imputabili di un reato commesso senza intenzione o sotto l’influenza di circostanze affatto eccezionali (autodifesa e simili); i criminaloidi, cioè individui con una più mite variante del criminale nato e, infine, i delinquenti abituali di tipo non anormale, inclusi molti appartenenti alle bande criminali.
Tra i fattori che concorrono nel determinismo dell’azione delittuosa considerò: i fattori meteorici, climatici e geologici, la razza, il tipo di alimentazione, l’alcoolismo, le condizioni culturali ed economiche, la religione, l’età ed il sesso.
Da ricordare come Lombroso considerasse la prostituzione come espressione della criminalità femminile
Ancora oggi bisogna riconoscere tutta la genialità del pensiero del Lombroso nella elaborazione della teoria dell’atavismo per spiegare la genesi del crimine un anno prima della pubblicazione dell’Origine dell’uomo di Darwin (1871).
Dalle stesse parole del Lombroso si può percepire oggi la totale quanto supina adesione alle teorie fisiognomiche allorquando lo studioso enuncia “improvvisamente, una mattina, in un nuvoloso giorno di dicembre, nel teschio di un brigate trovai una lunga serie di anomalie ataviche… analoghe a quelle che si riscontrano negli invertebrati inferiori”.
Questo concetto, quindi, precorse, parzialmente, l’evoluzionismo darwiniano. Infatti, quasi nello stesso periodo, una identica connessione tra fisiognomica e antropologia venne stabilita da Sir Charles Darwin il quale sostenne come alcuni tipi di espressione, sia negli umani che nelle scimmie, fossero sempre e comunque determinati da finalità naturali, esprimendo in questo modo un concetto che tendenzialmente scindeva l’unità mente – corpo.
Si deve ancora al Lombroso l’assioma secondo cui lo sviluppo embrionale dell’uomo ripercorre la filogenesi ed in qualche modo nel delinquente questo sviluppo può essere disturbato o interrotto.
Il Lombroso si spinse pure a paragonare il criminale al cosiddetto “selvaggio”, al primitivo, ritenendo il crimine un comportamento “naturale”.
Tale parallelismo etnologico, improponibile oggi ma in qualche modo ideologico, già nel 1800 venne messo in discussione da un altro autore, quasi contemporaneo ma anch’esso altrettanto geniale, J.J. Rousseau, che asserì il contrario nella teoria del “buon selvaggio”, affermando che solo il progresso e l’evoluzione potevano corrompere veramente l’innocenza primitiva dell’uomo.
Nondimeno, nel clima ottocentesco di forte scientismo, di bisogno nevrotico di catalogare, di sistematizzare, di misurare, di schedare, l’antropologo Lombroso, pur nella sua abitudinaria sedentarietà torinese interrotta solo dal breve tragitto giornaliero da casa al carcere e viceversa, raccolse, per comprovare le sue teorie, tantissimo materiale fisiognomico, specialmente fotografico e in gran parte proveniente da viaggiatori e studiosi ed anche da commissariati (foto segnaletiche).
In definitiva, il Lombroso usò proprio la fisiognomica, scienza antica e che aveva da sempre nutrito l’arte ed il mito, per mettere in rilievo la diversità di chi era già stato dichiarato reo, per catalogare le stigmate della diversità colpevole, per certificare scientificamente le differenze.
Nell’ultima edizione della sua opera sull’Uomo Delinquente è allegato un atlante fotografico mentre quasi tutti i suoi reperti sono oggi raccolti nel Museo di antropologia criminale di Torino.
Questo metodo fotografico – fisiognomico del Lombroso, basato sul suo presupposto screzio fisico – screzio morale, era diretto a realizzare dei veri e propri ritratti per andare oltre il solo aspetto fisico, mostrare anche lo spirito, l’indole, il carattere del suo modello.
Ed è proprio questo che si proponeva Lombroso nelle sue schedature fotografiche, nelle sue gallerie di ritratti che dovevano diventare, ed infatti diventarono, per decenni, modelli di riferimento per gli studiosi del crimine e per gli operatori di giustizia nella schedatura dei soggetti considerati socialmente pericolosi.
Si può quindi veramente parlare nella “Fisiognomica”, di inizio secolo, di ‘ritratti’ lombrosiani: la fotografia segnaletica diventa una specie di “impronta facciale”, perfezionata poi dal Bertillon con l’aggiunta dei “connotati” (misurazione di segmenti ossei brevi: piede, mignolo, ecc.) e del “ritratto parlato” (la descrizione degli elementi facciali) per risolvere il problema dell’identificazione dei criminali recidivi.
L’ultimo impulso a tale approccio fu dato da un altro genio italico, Umberto Ellero, ideatore della doppia foto sia di fronte che di profilo e realizzate per mezzo della contemporanea esposizione del soggetto a due macchine fotografiche messe, tra loro, ad angolo retto e chiamate, appunto, “gemelle Ellero”.
In seguito, con Giovanni Morelli vennero recuperati anche i particolari fisiognomici più trascurati, persino gli sguardi vennero descritti ed analizzati ed anche l’anamnesi medica entrò a far parte della schedatura finendo per divenire anche valenza indiziaria dapprima nella letteratura di genere (Conan Doyle e la pratica indiziaria di Sherlock Holmes) e poi anche nei Tribunali.
Con la nascita della psicoanalisi, nel ‘900, la fisiognomica si diluì in parte nella psicologia, anche se ora è la psicoanalisi stessa ad affermare che quello che è evidente copre, in effetti, quello che è la vera realtà sottostante, determinando quindi la necessità di scavare nell’intimo dell’uomo per trovare la sua vera essenza.

2. La moderna criminologia

La moderna criminologia oggi si avvale di approcci sia antropologici che sociologici e le attuali teorie criminogenetiche si distinguono in quelle biologico – deterministiche , quelle psicologiche e quelle sociologiche.
Questi indirizzi eziologici risentono della evoluzione storica della criminologia e delle influenze illuministiche che, contro l’oscurantismo medioevale,interessarono anche il Diritto Penale con la concezione liberale di Cesare Beccarla (4) che venne successivamente approfondita dalla cosiddetta “Scuola Classica” (Francesco Carrara) la cui dottrina affermò la concezione etico-retributiva della pena, delineando alcuni principi a garanzia delle libertà personali quali il principio di legalità, principio della certezza del diritto,il principio garantistico,il divieto di analogia.
Contemporanei furono i primi studi sociologici sul crimine.
Nacque così la Scuola Positiva (il principio di causalità regola anche il fenomeno della delinquenza) che sostituì la concezione retributiva delle Scuola classica con la prevenzione speciale (Sistema del doppio binario) attuata attraverso l’applicazione di pene determinate (in relazione all’entità del reato) e pene indeterminate (in relazione alla pericolosità del reo).
Dopo la seconda guerra mondiale si cercò di superare i vari Determinismi sul presupposto che la responsabilità sociale deve indurre lo Stato non a punire ma,da una parte, a cercare di recuperare l’individuo responsabilizzandolo e dall’altra ad eliminare le sperequazioni e le ingiustizie sociali.
Oltre all’importanza della giustizia sociale venne attribuita importanza anche al controllo sociale sia attraverso gli organi formali o istituzionali (Leggi e Sanzioni, polizia, carabinieri, vigili, ecc.), che informali come la famiglia, scuola, Chiesa, sindacato, organizzazioni sportive, mass media, ecc.).
In tale quadro in evoluzione non vanno trascurate le teorie psicologiche che affermano la variabilità individuale (in situazioni sociali criminogene non tutti gli individui giungono a delinquere) come pure le teorie e gli studi sui disturbi mentali che, anche se a volte possono esprimersi con la violenza distruttiva, in molti studi e rilievi statistici, non presentano una percentuale di reati maggiore che nella popolazione normale (anzi nei reati dei sofferenti mentali prevalgono le piccole infrazioni all’interno della percentuale stessa).
D’altronde il concetto di criminologia è ancor oggi in fase evolutiva come lo è il concetto di malattia mentale con l’esigenza di una nuova nosologia visto che l’immobilismo dell’attuale non è al passo con gli sviluppi della psicofarmacologia e delle neuroscienze.
Le teorie fino ad ora descritte sono quelle sia monofattoriali che, come tali, sono molto scientifiche (la funzione della scienza è quella di formulare delle ipotesi di lavoro con criteri di riproducibilità); le plurifattoriali (integrazione psico-ambientale) invece sono meno scientifiche ma più reali.
L’attuale politica penale, anche se non rinuncia al significato retributivo della pena, alla deterrenza ed alla difesa sociale, tende a limitare la pena carceraria, favorendo al contempo la rieducazione del reo attraverso la depenalizzazione (rinuncia alla sanzione), la degiurisdizionalizzazione (la competenza su alcuni reati passa dal giudice penale ad organi amministrativi) ed, infine, la decarcerizzazione attraverso diverse misure alternative o riduttive o sostitutive, anche perché il carcere a volte può diventare l’Università del crimine per la promiscuità tra delinquenti incalliti e rei occasionali.

3. Sopravvivenza della fisionomica nel trattamento carcerario

Ai giorni nostri, tentare di classificare le varie tipologie criminali rimane una speculazione priva di significato se non è collegata ad un modello teorico e se non determini una specifica applicazione penale o penitenziaria.
I primi criminologi non conobbero le raffinatezze delle elaborate tecniche statistiche poiché le loro teorie erano basate solo sulle loro osservazioni.Le classificazioni operate servirono come controllo delle ipotesi formulate.
Pur tuttavia, ancora oggi, all’ingresso delle patrie galere, nei confronti di colui che viene ammesso in Istituto, dallo stato di libertà, sono previsti almeno quattro passaggi che costituiranno la sua schedatura indelebile: l’immatricolazione, la cartella anagrafica, il colloquio e la visita medica.
Individuato a questo punto in tutto e per tutto, il carcerato non ha più nulla da perdere ed allora, se non li ha già, può iniziare a farsi fare i più esclusivi tatuaggi, sia per ricordare agli altri a che categoria appartiene e sia per facilitare ancor più il suo futuro riconoscimento.
Esistono, infatti, delle interessanti raccolte di foto di tatuaggi, fatti all’interno degli istituti penitenziari, col commento didascalico della loro poetica simbologia.
Tale metodologia di catalogazione, in base ai connotati più evidenti e fisici del detenuto, costituisce ancora il retaggio più evidente della utilizzazione della fisiognomica nell’approccio di studio e classificazione del soggetto – reo. In tale direzione va pure ricondotto il ruolo particolarmente importante che nel sistema carcerario viene attualmente svolto dai CSSA.
I Centri di Servizio Sociale per Adulti sono uffici periferici del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, da cui essi dipendono tramite i Provveditorati regionali, così come gli istituti di pena.
Attualmente sono 58, distribuiti su tutto il territorio nazionale (l´Ordinamento penitenziario prevede un C.S.S.A. per ogni Ufficio di Sorveglianza).
I compiti dei Centri di Servizio Sociale, previsti prevalentemente dalla Riforma dell’Ordinamento Penitenziario (Legge n. 354 del 26 luglio 1975 e successive modificazioni), sono molteplici, sia sul territorio (misure alternative alla detenzione, rapporti con gli Enti e le risorse territoriali, ecc.) sia all’interno degli istituti di pena.
“I Centri prestano, su richiesta delle direzioni degli Istituti di pena, opera di consulenza per favorire il buon esito del trattamento penitenziario” (art. 72 Ord. Penit. comma 5) ed, in particolare, partecipano all’attività di osservazione scientifica della personalità svolta dall’équipe di osservazione e trattamento nei confronti dei condannati e degli internati. Questa équipe è composta dal Direttore del carcere, da un Educatore, da un Assistente Sociale, da un esperto Psicologo o Criminologo, da un rappresentante del Corpo della Polizia Penitenziaria ed eventualmente da un Assistente Volontario.
In sede di équipe di osservazione e trattamento, il compito dell’Assistente Sociale è quello di relazionare circa la capacità di rapporto che il detenuto ha con la realtà esterna, la sua eventuale possibilità di interagire con essa, nonché circa la presenza o carenza di risorse del territorio utili per il reinserimento sociale.
Ma un’opera di classificazione dei soggetti rei è considerata tutt’ora necessaria anche da parte delle forze di polizia al fine di agevolare l’indagine e la individuazione del responsabile del reato.
Poiché il tasso dei reati aumenta nel nostro Paese ed i criminali divengono sempre più sofisticati, anche i mezzi di indagine a disposizione del poliziotto devono diventare più sofisticati.
La soluzione dei delitti è il compito più difficile per la polizia.Il poliziotto arriva sulla scena del delitto e deve guardare indietro nello sforzo di ricostruire il delitto stesso e per determinare l’identità del criminale.
Lo scopo di una valutazione psicologica della scienza di un reato è quello di produrre un profilo, cioè di identificare ed interpretare alcuni indizi presenti sulla scena del delitto che possono essere indicativi del tipo di personalità dell’individuo o degli individui che hanno commesso il reato.
Le informazioni per giungere alla individuazione di un profilo possono comprendere la razza, il sesso, l’età, lo status coniugale, l’occupazione, la reazione all’interrogatorio della polizia, il grado di maturità sessuale, la capacità delinquenziale, i precedenti specifici, gli eventuali procedimenti pendenti.
L’assunto di partenza degli investigatori è: di fronte alla scoperta di un cadavere, ed al cospetto di un’ipotesi di omicidio tutto quello che chi indaga trova a sua disposizione è la scena del crimine.
Non è certo un’invenzione degli agenti dell’F.B.I. la scoperta che la scena del crimine contiene in se stessa la maggior parte delle informazioni che riguardano l’esecutore materiale.
Ma è sicuramente a loro che dobbiamo la formazione di un metodo, in cui rientra la figura del “profiler”, lo sviluppatore di profili, ed una serie di studi che hanno avvicinato le forze di polizia a quella tipologia di assassini che prende il nome di serial killer.
Le tecniche di analisi della scena del crimine sono nate insieme al crimine stesso, ma non c’è dubbio che è all’America che ci dobbiamo rivolgere per informarci sugli assiomi comportamentali che, applicati alle indagini, aiutano ad identificare il possibile autore del delitto seriale, spesso con caratteristiche sessuali.
Più specificamente il binomio sesso morte era stato messo in evidenza dai pionieristici studi del marchese di Krafftebing, che per primo iniziò a parlare, all’incirca nel 1905-6, del termine classificatorio “omicidio per libidine”.
L’attenzione degli scienziati e del pubblico per gli omicidi privi dei moventi classici si fa sempre più pressante. Questa affermazione riflette quello che i moderni sviluppatori di profili chiamano “firma”, o le tracce di quei comportamenti che il criminale attua per soddisfare le sue ossessioni e che spesso sono comuni a tutti i crimini commessi da uno stesso assassino seriale.
Nondimeno sussiste ancora oggi una componente fisiognomica nella indagine criminologica.

4. L’attuale importanza della fisionomica nella criminologia

La creazione di un profilo psicologico del soggetto – reo è, dunque, una componente essenziale dell’indagine investigativa.
In definitiva, se da sempre l’uomo ha cercato di scoprire o intuire l’altro o se stesso attraverso i tratti somatici del volto ovvero lo studio dei moti dell’animo che si basa sull’analisi dei tratti del viso, la fisiognomica si può definire, semplicemente, come l’arte di leggere la personalità di un individuo.
Il Lombroso usò proprio la fisiognomica, scienza antica che aveva sempre nutrito l’arte ed il mito, per mettere in rilievo la diversità di chi era stato già dichiarato reo, per catalogare le stigmate della diversità colpevole, per certificare scientificamente le differenze.
La dottrina lombrosiana attualmente è stata relegata allo stato di mito e può essere messa, senza esitazioni, assieme a quelle dei suoi precursori, nell’archivio stesso della criminologia.
E’ oggi facile deridere il Lombroso con il suo “uomo delinquente” degenerato – naso schiacciato, barba rada, cranio deforme – benché lo stesso studioso, negli anni successivi, ridusse progressivamente il ruolo che il “delinquente nato” identificabile in presenza di almeno cinque anomalie fisiche aveva avuto nella sua versione originaria.
La fisiognomica, che ebbe quindi nel Lombroso il suo principale assertore, sembrerebbe anch’essa avere fatto il suo corso.
Nondimeno va ricordato che la scuola di criminologia che ebbe origine dalla dottrina del Lombroso, prese il nome di Scuola Positiva, per dare importanza alla propria adesione ai metodi sperimentale ed induttivo, quali quelli utilizzati nelle scienze naturali e sociali, contro quelli del ragionamento giuridico e deduttivo.
Gli aderenti a questa Scuola, tra cui va annoverato il Ferri, erano fermamente convinti della profonda influenza che sul comportamento criminale doveva avere la formazione costituzionale del delinquente individuale e l’ambiente a lui circostante, al punto da non riuscire ad ammettere la possibilità che tutti i criminali, a parte quelli chiaramente insani di mente, potessero essere considerati pienamente “responsabili”.
I positivisti erano inoltre convinti che ci fosse una vasta gamma di anomalie mentali e di inadeguatezze che, pur non giungendo alla pazzia, intaccavano il cosiddetto libero arbitrio del delinquente.
In conseguenza le sanzioni difensive della società nei confronti del criminale dovevano essere dettate non dalla natura e dalla gravità dell’atto compiuto ma dal di lui potenziale aggressivo individuale (6) con ciò riaffermando la importanza della fisionomica nell’accertamento della capacità delinquenziale.
Tale assunto è sublimato nelle parole di Van Hamel (7) che afferma che “la scuola classica esorta gli uomini a studiare la giustizia; la scuola positiva esorta la giustizia a studiare gli uomini” (7).
Comunque, sussiste il fatto che Lombroso, negli studi criminologici, ha ancora il suo peso e rimane tutt’oggi uno dei più grandi fisici ed antropologi italiani della seconda metà dell’800.
Per quanto riguarda l’aspetto inerente il Diritto Penitenziario, Lombroso non chiese pene più severe.
La sua teoria sostiene che per questi criminali non esiste il libero arbitrio nel delinquere ma semplicemente ed esclusivamente motivi insiti nella formazione biologica, fisica e mentale.
Dunque è un sostenitore della pena “rieducativa” propria delle teorie più moderne, insistendo sull’intervento a scopo riabilitativo del delinquente. Da qui l’impegno per la creazione di manicomi giudiziari che garantiscono al tempo stesso al cura del delinquente e la difesa della società, motivazione che sarà alla base del sistema del “doppio binario” del Codice Rocco quando andrà a prevedere le “Misure di Sicurezza” in abbinamento alla Pena classica.
Lombroso incentivò, nei casi meno gravi, le pene alternative al carcere.
Scrisse, infatti, nel 1872, nel progetto di organizzazione del manicomio criminale di Pesaro: “Bisogna creare ai ricoverati un ambiente allegro, fornito di tutte le attrattive che possono consolare e rendere dolce la vita, concedendo loro teatri, libri, musica e pittura; eccitandone l’attività, dando libero sfogo alle loro tendenze artistiche e poetiche, con recite, con esposizioni e soprattutto con un giornale manicomiale, per dare ai malati una tribuna ove far conoscere i migliori loro squarci letterari”.
La recente biologia e psicologia criminale hanno, sotto diverso aspetto, fatto rivivere la teoria dei criminali predisposti e le investigazioni statistico-antropologiche (E.A.Hooton) permettono di sostenere l’esistenza di accertate caratteristiche anatomiche in un grande numero di criminali messi a confronto con gli individui normali che si attengono alla legge.
Una recente investigazione antropologico criminale è rappresentata dalle misurazioni e dall’analisi statistica eseguite dal prof. Ernest A. Hooton di Harvard su di una massa di americani.
La sua dottrina neo-Lombrosiana afferma che i criminali, in media, sono distintamente inferiori in peso (anche dopo la correzione per le differenze d’età); essi sono più piccoli di statura; la larghezza delle spalle, la larghezza e lo spessore del torace, come pure la circonferenza della testa sono in essi minori: la loro altezza facciale è significativamente più piccola come pure l’altezza del naso; i loro orecchi sono più corti, la larghezza del naso maggiore, le orecchie sono più larghe in confronto della lunghezza e la faccia più bassa in confronto della larghezza: Per quanto riguarda i peli, le investigazioni dimostrano che il gruppo dei criminali ha probabilmente meno barba, meno peli sul corpo e più capelli. I capelli rosso – bruni, sono più frequenti nei criminale che non nei non-criminali, e così pure il colore degli occhi o molto chiari o molto scuri.
La conclusione generale dell’investigazione, la quale include anche un certo numero di caratteristiche sociologiche, è che i criminali, considerati in blocco, sono un gruppo di individui inferiori sociologicamente e biologicamente la quale inferiorità fisica è soprattutto di natura ereditaria
Si può quindi parlare di un vero e proprio ritorno alla fisionomica lombrosiana che basa i suoi costrutti sulla relazione esistente tra le differenti caratteristiche fisiche di un individuo e la sua personalità.
Se è vero che le sue teorie non hanno alcun supporto scientifico è comunque innegabile come ciascuno di noi,ogni qual volta si trova di fronte ad un nuovo interlocutore, tenti di intuire, istintivamente, se la persona che ha di fronte a sé è buona o cattiva, sincera o antipatica e così via.
E’ pure innegabile come le emozioni suscitate dalle esperienze di vita di una persona segnino in qualche modo il suo viso, modificando i lineamenti del volto in un modo piuttosto che in un altro.
La fisiognomica si intreccia, quindi, in un certo senso, con la psicologia laddove entrambe cercano di intuire e dedurre dal visibile i moti più intimi dell’animo umano.
Possiamo individuare le tre linee distintive della fisiognomica a secondo dell’approccio volgare, mimico e scientifico utilizzato dagli studiosi della materia.
Nell’approccio volgare è presente l’utilizzo dell’astrologia e della chiromanzia, e l’aspetto simbolico-intuitivo viene espressamente enfatizzato e privilegiato.
Nell’approccio mimico vengono messi in evidenza quegli elementi della comunicazione non verbale (tratti somatici, espressione corporea e facciale, segni del volto, tono della voce), che sono ritenuti degli indicatori del carattere di una persona.
L’approccio scientifico, infine, si propone di proseguire nell’ottica darwiniana e antropologica.
In tale contesto alcuni scienziati sono giunti alla conclusione, in base a ricerche neurologiche e psicologiche, che nelle persone che formulano idee creative, risulta particolarmente attiva la zona frontale del cervello con l’emissione di onde “alfa” da parte di entrambi gli emisferi.
Secondo la fisiognomica, per avere un’analisi più esauriente possibile dell’individuo, è necessario avere delle informazioni sulle tre fasce del volto che sono l’intellettiva, la sensitiva e la materiale; lo sviluppo maggiore di una fascia del volto rispetto ad un’altra, ne determina una maggiore influenza sul temperamento.
La fascia intellettiva è costituita dalla fronte e indica ingegno, curiosità, fede negli ideali; la fascia sensitiva è costituita dalla base del naso, tra le ciglia e le narici, è un indicatore dell’emotività e della sensibilità dell’individuo; infine la fascia materiale, localizzabile tra la base del naso e la punta del mento, esprime l’istintività e la sensualità.
Per la fisiognomica, anche il colore dell’incarnato costituisce uno degli elementi chiave per l’analisi della personalità. Per cui un colorito pallido indicherebbe mancanza di energia, malumore e pigrizia, mentre un colorito rosa acceso esprimerebbe sensualità ed estroversione; un colorito spento e grigiastro indica ipocondria, pessimismo e scarsa fiducia negli altri; infine un colorito che tende al giallastro è un segnale di forte irascibilità ma anche di ascolto verso l’altro e di lealtà.
Analizzando inoltre le singole parti del viso, secondo la fisiognomica, possiamo avere altre preziose informazioni sulla personalità dell’individuo che stiamo osservando.
Facciamo alcuni esempi: una fronte molto alta indica la tendenza alla superficialità e all’imitazione degli altri, mentre se è molto bassa indica scarso sviluppo intellettuale e atteggiamento ipercritico. Una fronte proporzionata al resto del viso indica chiusura mentale e forte senso di responsabilità, ma se è alta e presenta un rigonfiamento nella parte superiore determinerà, in chi la possiede difficoltà di concentrazione e stravaganza.
Secondo la fisiognomica l’analisi della personalità di un individuo sarà tanto più attendibile quanto più informazioni si avranno sulle varie parti del volto, non solo ma se è vero che ogni parte rappresenta una caratteristica di personalità è altresì vero che solo dall’interpretazione armonica dei vari elementi si potrà capire al meglio chi è la persona che abbiamo di fronte.
A titolo esemplificativo, un cenno meritano alcune caratteristiche del mento e del naso.
Se un mento aguzzo indica vivacità intellettuale con tendenza all’analisi e all’approfondimento, un mento tondo segnala creatività ed energia e capacità di mettere a proprio agio gli altri. Il doppio mento indica insicurezza, bisogno di protezione e instabilità emotiva, mentre se un mento è ben equilibrato con il resto del viso segnala grande tenacia.
Il naso è importante perché conferisce carattere al volto; il naso camuso (schiacciato e largo alla radice), indica forte empatia e personalità affettuosa; il naso all’insù indica instabilità emotiva e diffidenza, mentre il naso greco (lungo e stretto) lascia intuire che chi lo possiede sia molto sensuale, di animo buono e leale ma anche superficiale.
Il naso aquilino indica forza interiore e grande carisma, energia e tendenza all’ira, mentre il naso a patata indicherebbe tendenza all’idealismo ma una certa predisposizione alla tristezza.
In questa esposizione, anche se sommaria, delle linee guida su cui si basa l’analisi fisiognomica, non poteva mancare l’analisi degli occhi e della bocca.
Degli occhi grandi denotano tendenza al misticismo, avversione al materialismo e insicurezza; occhi piccoli indicano intuito, vitalità e furbizia; occhi rotondi segnalano creatività e bontà d’animo, vivacità intellettuale; degli occhi all’ingiù ci dicono che il loro possessore è di animo romantico, sensibile con tendenza alla depressione, mentre degli occhi all’insù indicherebbero timidezza, introversione e scarsa coerenza.
La bocca si analizza attraverso le labbra, per cui delle labbra carnose indicano sensualità e istintualità, nonché capacità di instaurare rapporti di coppia armoniosi; labbra sottili indicano introversione e tendenza al romanticismo, forte senso del dovere; un labbro superiore sollevato con gengive in evidenza denoterebbe aggressività e scarso autocontrollo, chiusura mentale; labbro superiore ad “emme”,il senso dell’ironia e tendenza al buon umore, estroversione e avversione per la monotonia; labbra “a bocciolo” tendenza alla malinconia con instabilità emotiva e poca sensibilità verso gli altri.
Altre informazioni sul temperamento individuale si possono leggere, secondo la fisiognomica, anche attraverso i segni della pelle come i nei e le rughe di espressione, segni, soprattutto questi ultimi che, dipendendo dalla mimica facciale, rendono unico ed espressivo un volto dicendoci molto sulla vita intima della persona.
Secondo il Tao, il volto rivela ogni cosa ed è possibile analizzare la personalità di un individuo attraverso l’osservazione del suo viso, seguendo la tecnica dell’analisi facciale.
Per il Tao è possibile determinare attraverso i segni del viso, persino la forma e le dimensioni degli organi sessuali maschili e femminili.
Esistono anche delle caratteristiche nell’analisi facciale comuni sia agli uomini che alle donne: se l’angolo esterno dell’occhio presenta delle linee, queste indicano forte inclinazione sessuale e disponibilità, caratteristiche che sono tanto più intense quanto più sono profonde e numerose le linee. La presenza di pieghe profonde ai lati della bocca indica forte desiderio sessuale e ancora una persona con mento lungo e potente possiederà una forte spinta sessuale.
Secondo il Tao è la quantità delle caratteristiche che si combinano tra di loro nonché la loro intensità a determinare la forza dell’inclinazione sessuale.
In generale un volto ovale, sinonimo di perfezione estetica, denota un temperamento ipersensibile, tendente alla dolcezza, creatività ma anche instabilità e timidezza, un volto quadrato indica grande forza interiore, un carattere energico e pratico, pazienza e determinazione. Un volto triangolare denota intelligenza brillante ma scarsa fantasia mentre un viso rettangolare o lungo denota elasticità mentale, apertura alle novità, evoluzione intellettuale, senso estetico.

5. Conclusioni

In base a quanto brevemente enunciato, si cerca quindi ancora oggi di scorgere nel volto altrui i segnali positivi o negativi che connotano la personalità di chi ci sta di fronte.
E purtroppo soprattutto oggi, dove i rapporti umani si instaurano all’insegna di una certa superficialità nonché insicurezza dilaganti, dove l’incontro con l’altro deve essere consumato velocemente per essere “utile e produttivo”, è la prima impressione quella che conta, e un’analisi immediata del volto dell’altro serve per prendere le dovute contromisure; è forse in questi termini che va spiegata l’enorme diffusione di articoli, test e pubblicazioni che spuntano ovunque e che sembrano riscuotere un così vasto successo a scapito di tutte le teorie elaborate dalla criminologia.
Anche le più recenti indagini antropologiche finiscono per considerare l’uomo come un centro di forze, un Io che non è in grado di dominare il suo fondamento; e sembrano anche costrette ad ammettere che le forze operanti nell’Io non sono solo di natura biologica, e come tali non sono suscettibili di essere subordinate a leggi puramente meccaniche.
Si direbbe, perciò, che, sebbene la propensione al crimine possa e debba essere oggetto di indagine scientifica, tale indagine, per essere efficace, non abbia modo di prescindere dalla consapevolezza dei propri limiti.
Nonostante tutti i risultati raggiunti, il crimine non risulta spiegabile completamente in maniera scientifica in tutte le sue manifestazioni. Se ciò fosse possibile, del resto, esso non rappresenterebbe ancora un problema da prendere in seria considerazione.
Come ogni indagine scientifica, anche l’indagine criminologica è soggetta al circolo di teoria ed empiria, per cui le teorie vanno dimostrate empiricamente e viceversa. Inoltre, essa non può che restare alla superficie di una dimensione scientificamente irraggiungibile, un fondo oscuro dell’Io, grazie al quale ciascuno è libero e dunque suscettibile di imputazione morale e giuridica. Questo fondo dell’Io è da sempre oggetto e soggetto della ricerca filosofica.
Certo oggi tale ricerca non pare più idonea a costruire nuove metafisiche della soggettività, né a ritrovare evidenze a fondamento dei sistemi morali.
Non le si può chiedere, pertanto, di fondare il diritto penale entro una dimensione metafisica. Ma le si può chiedere di produrre un’ermeneutica del limite che appare intrinseco alle diverse spiegazioni del crimine e della legittimità del potere abilitato a reprimerlo (8).
Come ha affermato Leon Radzinowicz, criminologo di fama mondiale, “le dottrine e le idee non partono dal nulla ed anche quelle che ci sembrano essere le più rivoluzionarie, affondano invece le radici in un precedente stadio formativo” (5).

Avv. Mario Pavone

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Note:

(1) Marinelli, Breve excursus sulla criminologia, in Criminologia.it
(2) Marinelli, Dall’antropologia criminale di Lombroso alla fisionomica indiziaria, in Criminologia.it
(3) Serra, La fisionomica, in Erasmi.it
(4) C. Beccarla, “Dei delitti e delle pene”: dignità umana e certezza del diritto
(5) L. Radzinowicz, Ideologia e Criminalità, Giuffré,1968
(6) E. Ferri, Principi di diritto criminale, 1928, pagg.237 ss
(7) G.A.Van Hamel, L’anthropologie criminelle et les dogmes du Droit Pénal, in l’opera di Cesare Lombroso nella scienza e nelle sue applicazioni, 1906, pag. 265
(8) Guida, La criminologia tra problema e fenomeno, in Criminologia.it
(9) Caroli (1) Cfr. FLAVIO CAROLI, Storia della Fisiognomica – Arte e Psicologia da Leonardo a Freud, Editore Leonardo, Milano 1995
(10) Ferracuti, Teorie criminogenetiche, Giuffre, pag. 1 ss