Chi desideri il trattamento fiscale privilegiato offerto da uno Stato estero senza però dover lasciare l’Italia è spesso tentato di ricorrere alla cosiddetta esterovestizione come persona fisica nella speranza che il ‘vestirsi’ della bandiera di quel Paese, gli procuri una sorta di mantello dell’invisibilità fiscale.
La pratica, volta ad alleggerire indebitamente il proprio conto verso l’Erario, viene ovviamente fronteggiata continuamente e le cronache riportano come nei controlli siano incappati anche nomi famosi. Oltre a Pavarotti e Loris Capirossi, anche Valentino Rossi: dopo essergli stata contestata l’esterovestizione come persona fisica sulla presunzione che, nonostante figurasse residente a Londra, l’effettiva residenza fosse rimasta in Italia, avrebbe patteggiato il pagamento di 35 milioni di Euro contro i 100 di contestatigli.
La normativa di riferimento è infatti quella contenuta nel TUIR (Testo Unico della Imposte sui Redditi) che fissa i criteri per individuare chi sia obbligato al pagamento delle tasse, in Italia, e l’individuazione dell’effettiva residenza conta ai fini di determinare quali redditi, e in quale misura, vadano tassati.
Sottolineiamo che, nel caso dell’Italia, tutti i redditi prodotti dal residente in Italia sono soggetti a tassazione, ovunque generati.
1. Soggetti passivi dell’imposta sono le persone fisiche, residenti e non residenti nel territorio dello Stato. 2. Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo di imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile.
Art. 2 del TUIR (DPR nr. 917/1986)
Individuare il Paese di residenza è quindi fondamentale e tutto verte sul rispetto o meno di queste semplici regole: oltre all’ovvia ipotesi in cui il Contribuente abbia palesemente fissato la residenza in Italia, gli sono equiparate le posizioni di chi per almeno 183 giorni nell’anno d’imposta sia risultato iscritto all’anagrafe oppure abbiano eletto domicilio nel territorio dello Stato.
Un eventuale controllo cercherà quindi di accertare attraverso questi indizi quale tassazione vada applicata a una determinata persona fisica in virtù del principio generale secondo cui non sia possibile una doppia imposizione fiscale salvo specifiche convenzioni stipulate tra due diversi Stati per regolare altrettanto specifiche eventualità (ad esempio, per chi abbia doppia cittadinanza).
Senza che sia dimostrata l’effettiva residenza in Italia, e quindi fuori dai casi di esterovestizione della persona fisica, il Contribuente si intenderà residente nell’altro Stato e quindi tenuto al pagamento delle tasse in Italia solo per quei redditi prodotti in Italia.
Chi trasferisca la propria residenza all’estero farà bene a tenere traccia di ogni elemento di prova a proprio favore. Non semplici bollette per utenze a proprio nome o un contratto di locazione, ma elementi che possano dimostrare oltre ogni dubbio di aver spostato all’estero il centro dei propri interessi per la maggior parte dell’anno fiscale.
Ciò vale sia nel caso in cui ci si debba difendere da un accertamento per presunta esterovestizione, sia nel caso in cui con l’inversione dell’onere della prova previsto dall’art. 2-Bis del TUIR già citato la legge sposti esplicitamente sul Contribuente accusato di elusione fiscale l’onere di dover dimostrare di poter essere considerato residente effettivo fuori dall’Italia.
Le conseguenze vanno valutate caso per caso ma, salvo casi particolari, l’esterovestizione come persona fisica sembra ricadere nell’ipotesi di elusione fiscale anziché di evasione fiscale.
La prima configura una fattispecie di ‘abuso del diritto’ ed è sanzionata solo amministrativamente a meno che non abbia implicato una condotta ricadente nella seconda che, invece, configura specifica forma di reato ed è perseguita penalmente al superamento di determinate soglie.
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