L’omicidio del consenziente resta un crimine

Al momento della redazione di questo editoriale non sono ancora note le motivazioni della sentenza con cui la Consulta ha ritenuto inammissibile il referendum abrogativo parziale dell’articolo 579 del Codice penale ma il tenore del comunicato diffuso è sufficiente a far sorgere più d’una perplessità guardando al risultato: l’omicidio del consenziente resta un crimine.

Nella nota si legge che: ‘La Corte ha ritenuto inammissibile il quesito referendario perché, a seguito dell’abrogazione, ancorché parziale, della norma sull’omicidio del consenziente, cui il quesito mira, non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana, in generale, e con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili’.

Le ragioni di perplessità
L’articolo 579 del Codice penale a confronto
Ben oltre le 500k firme
L’eutanasia legale
L’eutanasia attiva
La disparità di trattamento creata dalla Consulta
L’assistenza al suicidio
L’eutanasia passiva
Il testamento biologico
L’obiezione di coscienza

In realtà, il quesito referendario che non è certo frutto di improvvisazione né di dilettantismo giuridico, avrebbe anzi omaggiato la vita umana nella sua totalità e pienezza, regolando lo sciagurato destino delle Cittadine e dei Cittadini della Repubblica il cui futuro sia irrimediabilmente segnato dalla condanna incolpevole a subire insopportabili sofferenze fino all’ultimo loro respiro.

Confrontando il testo vigente e la nuova proposta formulazione, appare evidente come nella variante proposta l’omicidio del consenziente non fosse punibile solo quando l’interessato sia nel pieno possesso delle proprie facoltà mentali, in grado di valutare lucidamente la situazione e, essendogli impossibile far da sé, in base al proprio sentire libero da ogni pressione o condizionamento, esprimesse la propria (revocabile) volontà che altri ponessero fine alla sua vita.

Testo vigente dell’articolo 579 del Codice penale:

(Omicidio del consenziente)
Chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui, è punito con la reclusione da sei a quindici anni.
Non si applicano le aggravanti indicate nell’articolo 61.
Si applicano le disposizioni relative all’omicidio se il fatto è commesso:
Contro una persona minore degli anni diciotto;
Contro una persona inferma di mente, o che si trova in condizioni di deficienza psichica, per un’altra infermità o per l’abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti;
Contro una persona il cui consenso sia stato dal colpevole estorto con violenza, minaccia o suggestione, ovvero carpito con inganno.
Testo dell’articolo 579 del Codice penale
con le relative abrogazioni referendarie:

(Omicidio del consenziente)
Chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui, è punito con [la reclusione da sei a quindici anni.]
[Non si applicano le aggravanti indicate nell’articolo 61.]
[Si applicano]
le disposizioni relative all’omicidio se il fatto è commesso:
Contro una persona minore degli anni diciotto;
Contro una persona inferma di mente, o che si trova in condizioni di deficienza psichica, per un’altra infermità o per l’abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti;
Contro una persona il cui consenso sia stato dal colpevole estorto con violenza, minaccia o suggestione, ovvero carpito con inganno.
Raffronto del testo dell’art. 579 del Codice penale con le modifiche proposte dal referendum abrogativo

Dalle motivazioni con cui la Corte Costituzionale spiegherà la propria decisione, ci si augura che risulti evidente in quale modo sarebbe venuta meno la tutela minima della vita umana, al punto da obbligare a perpetuare, giorno dopo giorno, la ‘Via crucis’ di chi stia vivendo situazioni di sofferenza inimmaginabile e alle quali non possa porre fine per il fatto che l’omicidio del consenziente resta un crimine.

Un dato di sicuro non trascurabile sta nella considerazione che, rispetto alle 500 mila firme necessarie per la proposta del referendum abrogativo, grazie alla mobilitazione di migliaia di volontari tra cui i legali che hanno volontariamente autenticato le firme raccolte nei banchetti nelle piazze italiane, e grazie alla sensibilità diffusa degli italiani che hanno saputo comprendere il calvario di tante persone, le adesioni sono state di oltre 1,2 milioni.

Di fronte a un tale numero di richieste, il legislatore fino a ora insensibile e incomprensibilmente assente sul punto dovrà necessariamente prendere atto dell’esistenza del problema e attivarsi, senza ulteriore ritardo, senza attendere che per sopperire alla propria latitanza i Cittadini debba dar corso a una nuova iniziativa legislativa di iniziativa popolare.

Fino a un serio ed estensivo intervento legislativo sul fine vita e sull’eutanasia legale, le soluzione ottenute caparbiamente dall’Associazione Luca Coscioni coprono solo una parte dell’ampio spettro delle situazioni invece meritevoli di tutela.

Ricordiamo infatti che la cosiddetta eutanasia attiva è vietata dal nostro ordinamento sia nella versione diretta, in cui sia un medico a praticarla mediante la somministrazione del farmaco eutanasico, sia nella versione invece indiretta, in cui sia il soggetto agente a procurare il farmaco eutanasico che poi l’interessato assumerà autonomamente. Circostanza quest’ultima che ricade nell’àmbito di applicazione dell’articolo 580 del Codice penale in virtù del quale è punita l’istigazione e l’aiuto al suicidio, fatte salve le scriminanti procedurali faticosamente introdotte dalla Corte costituzionale con la nota Sentenza Cappato.

La modifica legislativa proposta intendeva anche colmare il drammatico vuoto di chi, non potendo procedere autonomamente all’atto finale del procurarsi la morte con l’eutanasia indiretta, resta esclusa dal diritto a porre fine alla proprie insopportabili sofferenze.

Il risultato è che con la propria Sentenza, la Corte costituzionale ha creato una disparità di trattamento, palesemente incostituzionale e discriminatoria a giudizio di chi scrive, tra malati che conservino una capacità di movimento tali da iniettarsi o assumere autonomamente il preparato per l’eutanasia predisposto da altri, lecito, e malati immobilizzati che non possano chiedere a familiari, medici o volontari di iniettare o somministrare loro in alcuna forma il preparato per la propria eutanasia.

La sentenza nr. 242 del 2019 della Corte costituzionale ha dichiarato lecita l’assistenza al suicidio che presenti queste specifiche condizioni, verificate incontrovertibilmente dal Servizio Sanitario Nazionale e sottoposte per un parere al Comitato etico territorialmente competente: la presenza di una patologia irreversibile, una grave sofferenza fisica o psicologica di chi ne sia affetto, la dipendenza da trattamenti per il sostegno vitale altrimenti impossibile e la capacità dell’interessato di prendere decisioni libere e consapevoli.

Va detto infine per completezza di trattazione che esiste anche la cosiddetta eutanasia passiva, consistente nell’astensione da ogni intervento necessario a tenere in vita il paziente. Pratica già ritenuta lecita quando l’interruzione delle cure abbia lo scopo di evitare il cosiddetto accanimento terapeutico come previsto dalla Legge nr. 219 del 2017 in tema di consenso e testamento biologico. Si veda per un approfondimento sul punto l’articolo: Suicidio assistito lecito, pubblicate le motivazioni della sentenza Welby.

Allo stato attuale, l’omicidio del consenziente resta un crimine e l’accanimento terapeutico lecito…

L’accanimento terapeutico è infatti quell’insieme di trattamenti a cui un paziente sia sottoposto senza alcuna possibilità di un proprio recupero, che abbiano quindi l’unico risultato certo di prolungarne la malattia e le sofferenze.

Come poter verificare quindi le intenzioni di una Persona che si trovi immobilizzata, impossibilitata a comunicare al fine di dare attuazione al proprio diritto di non soffrire ulteriormente?

La legge nr. 219 del 2017 ha introdotto il cosiddetto Testamento biologico a tutela del diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all’autodeterminazione di ciascuno riprendendo il principio per cui nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito senza il consenso libero e informato dell’interessato e introducendo le Disposizioni Anticipate di Trattamento con cui ciascuno può delegare un terzo di fiducia per tutte e questioni che riguardino i propri eventuali trattamenti oppure può dare direttamente indicazioni sui trattamenti sanitari che desideri ricevere o rifiutare qualora si trovasse in condizioni di incapacità.

Nell’auspicio che una legge sul fine vita sia approvata quanto prima, sarebbe opportuno (a giudizio di chi scrive) che non sia inclusa la possibilità di obiezione di coscienza da parte dei medici che intendano far prevalere proprie convinzioni personali, magari religiose, sui desideri di chi sopporti da lungo tempo e abbia come unica prospettiva quella di sopportare ancora a lungo gravi sofferenze, fisiche e psicologiche.

Si è già visto in passato, ad esempio con la legge nr. 194 del 1978 sull’aborto, come l’esercizio massivo del diritto all’obiezione possa di fatto impedire al paziente l’esercizio di un proprio diritto. Bisognerebbe quindi impedire che altrettanto possa accadere con il fine vita garantendo, in ogni caso, che chi sia già intrappolato in una situazione personale insostenibile e senza via d’uscita non si ritrovi ulteriormente intrappolato da cavilli e situazioni di abuso del diritto nel momento di esercitare di un proprio diritto civile così faticosamente conquistato dalla collettività.

L’omicidio del consenziente resta un crimine quindi in Italia in attesa che una classe politica più in sintonia con il sentire dei Cittadini, che si suppone rappresenti, e più laica vinca la propria inerzia e non frapponga più ostacoli all’adeguamento del Codice penale.

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