Nel linguaggio comune si tende a usare indifferentemente i termini multa o contravvenzione per indicare la contestazione di una violazione del Codice della strada. In verità, trattandosi di semplici illeciti amministrativi, bisogna invece parlare di sanzioni amministrative, lasciando circoscritte all’ambito penale le multe e le contravvenzioni vere e proprie.
L’errore molto diffuso deriva dal fatto che, in passato, tutte le violazioni del Codice della strada rientravano tra gli illeciti penali per cui, sia in caso di condanna al pagamento di una somma, sia nel caso di arresto, si parlava propriamente rispettivamente di multa e/o contravvenzione inflitta al responsabile.
Oggi, le violazioni al Codice della Strada non sono più illeciti di carattere penale ma semplicemente violazioni amministrative (salvo i casi più gravi, come la guida in stato di ebbrezza per la quale ad esempio si continua a sconfinare nel campo del diritto penale e si continua a parlare correttamente di contravvenzione) per cui i pagamenti previsti in caso di violazione vanno chiamate sanzioni amministrative.
Sempre commisurate al fatto concreto, le sanzioni amministrative sono generalmente previste dalla Legge nella misura di un minimo e un massimo al fine di adattarsi alle circostanze oggettive e soggettive di applicazione, sempre comunque soggette a ricorso.
Oltre agli innumerevoli possibili vizi propri, agli errori materiali occorsi all’atto della redazione del verbale, a tutte le disfunzioni nella catena di notifica al destinatario delle stesse, esiste la possibilità che l’autore di un’infrazione al Codice della Strada abbia agito legittimamente in una delle ipotesi che la Legge stessa prevede come esimente da responsabilità per cui il ricorso innanzi al Prefetto o al Giudice di Pace, come meglio spiegato all’interno della Guida – Multe, contravvenzioni e verbali per violazioni del CdS, appare non solo possibile ma perfino dovuto.
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