Comprare criptovalute: è legale in Italia?

Il fatto che per comprare criptovalute non ci si possa rivolgere a una banca ma a piattaforme online, che le criptovalute non siano tangibili sotto forma di monete o banconote ma anzi custodite in portafogli digitali regolati da un ‘qualcosa’ di ancora sconosciuto per la maggior parte delle persone come la blockchain, potrebbe far dubitare del fatto che comprare criptovalute sia legale in Italia, eppure…

Se ti stai chiedendo dove comprare criptovalute in Italia, sarai felice di sapere che non solo comprare criptovalute è legale in Italia ma, circolando ormai dal 2009, si è prodotta una normativa e una giurisprudenza, spesso grazie agli interpelli rivolti all’Agenzia delle Entrate da diligenti Contribuenti, con le quali sono stati regolati numerosi aspetti prima assolutamente non regolati.

Le criptovalute, in totale antitesi concettuale e strutturale con i sistemi di pagamento fino a ora noti e nonostante siano sprovviste della gamma completa di tutele che sono invece previste per i risparmiatori ‘tradizionali’, sembrano piacere comunque molto anche agli italiani che investono sempre più ingenti somme attratti dal trend in continua crescita e da una normativa particolarmente favorevole sulla tassazione delle plusvalenze.

Accenniamo alla tassazione per sottolineare come non solo l’atto in sé di comprare criptovalute sia lecito ma altrettanto la speculazione possibile, sempre che si rispettino poche basilari regole.

Senza entrare troppo nel dettaglio in questa sede, accenniamo solo al fatto che non tutte le criptovalute sono uguali: alcune sono fungibili, altre no, e solo le prime a cui appartengono Bitcoin, Ethereum o Dogecoin per esempio andranno incluse nella propria dichiarazione dei redditi annuale qualora, per sette giorni consecutivi inclusi i giorni festivi, il valore corrispondente in Euro sia stato superiore a € 51.645,69

Solo in questo caso, e solo per la somma eccedente questo limite, si applicherà la tassazione del 26% sulla plusvalenza.

Un commercialista saprà valutare la situazione complessiva di ciascun Contribuente e consigliarlo al meglio ed è caldamente suggerita l’assistenza di un professionista perché le sanzioni per l’omessa dichiarazione sono particolarmente pesanti arrivando fino al +240% del tributo evaso, oltre alla plusvalenza ottenuta, e a 5 anni di reclusione!

Come detto, però, l’imposta è dovuta solo per la plusvalenza, e anche il carcere è previsto per evasioni di tasse superiori a 50 mila Euro per cui, piccoli risparmiatori al di sotto di quella soglia potranno dichiarare tranquillamente sia il valore delle criptovalute detenute, sia l’eventuale plusvalenza, senza dovere e senza temere alcunché.

Tornando in conclusione all’argomento che oggi ci impegna, una ulteriore conferma del fatto che anche in Italia comprare criptovalute sia legale viene dalla sentenza della Corte di Giustizia Europea di cui qui riportiamo uno stralcio significativo: oltre a non dichiarare contrario alla legge l’acquisto, la Corte entra nel merito del trattamento IVA relativo alla procedura d’acquisto dichiarando che ne sia esente!

Per questi motivi, la Corte (Quinta Sezione) dichiara:

1) L’articolo 2, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto va interpretato nel senso che costituiscono prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso, ai sensi di tale disposizione, operazioni, come quelle oggetto del procedimento principale, che consistono nel cambio di valuta tradizionale contro unità della valuta virtuale «bitcoin» e viceversa, effettuate a fronte del pagamento di una somma corrispondente al margine costituito dalla differenza tra, da una parte, il prezzo al quale l’operatore interessato acquista le valute e, dall’altra, il prezzo al quale le vende ai suoi clienti.

2) L’articolo 135, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2006/112 va interpretato nel senso che prestazioni di servizi, come quelle oggetto del procedimento principale, che consistono nel cambio di valuta tradizionale contro unità della valuta virtuale «bitcoin» e viceversa, effettuate a fronte del pagamento di una somma corrispondente al margine costituito dalla differenza tra, da una parte, il prezzo al quale l’operatore interessato acquista le valute e, dall’altra, il prezzo al quale le vende ai suoi clienti, costituiscono operazioni esenti dall’imposta sul valore aggiunto ai sensi di tale disposizione.

L’articolo 135, paragrafo 1, lettere d) e f), della direttiva 2006/112 va interpretato nel senso che siffatte prestazioni di servizi non ricadono nella sfera di applicazione di tali disposizioni.

Sentenza della Corte di Giustizia Europea, Sezione 5, del 22.10.2015


Per approfondimento:

La scheda della Consob sulle criptovalute

Blockchain technology and its applications

Sentenza integrale della Corte di Giustizia Europea, Sezione 5, del 22.10.2015