Il diritto all’oblio, ovvero il diritto di una persona a ‘essere dimenticata’ richiedendo la rimozione di proprie informazioni personali obsolete o irrilevanti dai motori di ricerca e dagli archivi online, è stato introdotto in Italia con il Decreto legislativo 101/2018 che ha recepito il Regolamento Europeo sulla Protezione dei Dati Personali (GDPR).
In Italia, l’applicazione del diritto all’oblio è affidata al Garante per la Protezione dei Dati Personali, l’autorità amministrativa indipendente che ha il compito di controllare l’operato di chi gestisce e diffonde dati personali in virtù del quale i Cittadini possono fare richiesta di cancellazione ed oscuramento di link direttamente ai motori di ricerca, e in caso di rifiuto, possono rivolgersi al Garante per ottenere tutela.
La linea non è uniforme, va detto.
Uno dei primi casi giurisprudenziali in Italia è stato quello di una donna che nel 2015 ha ottenuto dal Garante la rimozione da Google di alcuni link ad articoli che riportavano una vicenda giudiziaria che la riguardava risalente al lontano 1998. Valutata la richiesta inattesa, il Garante ha in quel caso ritenuto prevalente il suo diritto all’oblio rispetto all’interesse pubblico all’accesso all’informazione, stabilendone la rimozione dai risultati dei motori di ricerca.
Nel 2016, invece, il Tribunale di Roma ha rigettato il ricorso di una persona che, invocando il diritto all’oblio, chiedeva l’oscuramento di articoli riguardanti fatti di cronaca recenti in cui era stato coinvolto, ritenendo il Giudice che l’interesse pubblico a essere informati su fatti di attualità e cronaca fosse prevalente…
Più di recente, nel 2021, il Tribunale di Milano ha invece accolto il ricorso di un imprenditore che voleva la rimozione da Google di articoli contenenti accuse di bancarotta fraudolenta, in quanto risalenti a molti anni prima e non più attuali.
In Italia i giudici e il Garante sono chiamati a effettuare, volta per volta, un delicato bilanciamento tra diritto all’oblio e diritto di cronaca, valutando la rilevanza pubblica della notizia, l’attualità dei fatti e il tempo trascorso. Non esiste quindi una regola fissa ma ogni caso viene esaminato nel merito.
Possiamo dire che il diritto all’oblio sta comunque trovando progressiva applicazione nella giurisprudenza italiana a tutela della Privacy individuale.
Come si esercita il diritto all’oblio?
Per veder realizzato il proprio diritto all’oblio è importante documentare bene i contenuti di cui si chiede la rimozione, contattare in prima battuta i gestori dei siti e motori di ricerca e, in caso di mancata collaborazione, procedere come già detto tramite il Garante per ottenere soddisfazione.
La prima cosa da fare è identificare con precisione i contenuti che si desidera vengano rimossi o deindicizzati dai motori di ricerca. Ad esempio, possono trattarsi di vecchi articoli di giornale che riportano fatti ormai obsoleti e che ledono la reputazione, oppure informazioni personali pubblicate senza consenso su siti web ormai dimenticati.
Una volta individuati con chiarezza i contenuti “incriminati”, il passo successivo è quello di contattare direttamente i gestori dei siti web e dei motori di ricerca interessati, inviando una richiesta formale in cui si motiva perché quelle specifiche informazioni dovrebbero essere cancellate o non più reperibili tramite ricerca possibilmente via PEC o con raccomandata a/r.
Solitamente conviene iniziare rivolgendosi direttamente ai motori di ricerca, che hanno procedure dedicate per questo genere di richieste, indicando con precisione gli URL in questione. Se i gestori di tali servizi non dovessero rispondere o accogliere la richiesta, allora ci si può rivolgere al Garante della Privacy, che interverrà presso i soggetti interessati.
Cosa fare se il Garante per la Privacy non accoglie la richiesta?
La legge offre più strumenti a chi voglia far valere le proprie posizioni contro un diniego da parte del Garante. Certo, il percorso non è sempre facile e scontato, ma attraverso un ricorso ben articolato e motivato, vi sono buone probabilità di veder accolte le proprie istanze.
Quando una persona vede respinta dal Garante una richiesta di rimozione di contenuti dal web, non è certo obbligata ad accettare supinamente tale decisione, anzi ha a disposizione diversi strumenti legali per contestarla e provare a ribaltarla.
Innanzitutto, un’opzione piuttosto efficace sembra essere quella di presentare ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale competente per territorio. In questo modo si instaura un vero e proprio processo in cui la decisione del Garante viene riesaminata in modo approfondito. I giudici amministrativi hanno il potere di annullare o riformare la decisione dell’Autorità se ravvisano motivi di illegittimità.
In alternativa, è possibile anche rivolgersi direttamente al Presidente della Repubblica, ricorrendo allo strumento del ricorso straordinario. Anche il Capo dello Stato ha il potere di far riesaminare la questione tramite i suoi uffici e, se lo ritiene opportuno, può intervenire per modificare o correggere la decisione assunta dal Garante.
Per completezza di trattazione rimandiamo anche alla lettura del nostro articolo: GDPR e Decreto Legislativo 101/2018