Licenziamento discriminatorio: tutele ed entità del risarcimento

Il licenziamento discriminatorio è una fattispecie particolarmente odiosa trattata dall’ordinamento lavorativo italiano che si verifica quando il datore di lavoro interrompe unilateralmente il rapporto di lavoro non per ragioni inerenti al servizio quanto per caratteristiche personali del dipendente considerate sgradite che nulla hanno a che vedere con la prestazione lavorativa.

Nel presente articolo analizzeremo nel dettaglio le casistiche considerate discriminatorie, l’iter da seguire per fare valere le proprie ragioni ed ottenere giustizia, nonché l’entità e le modalità di calcolo del risarcimento previsto come sanzione per il datore di lavoro.

Iniziamo col dire che la legge individua chiaramente alcune categorie specifiche di discriminazione, anche se in generale sono vietati licenziamenti per motivi semplicemente insignificanti o pretestuosi, considerando certamente discriminatori i licenziamenti motivati da ragioni riconducibili a sesso, orientamento sessuale, età, origine etnica, nazionalità, opinioni politiche e fede religiosa del lavoratore.

La normativa tutela il lavoratore ingiustamente licenziato prevedendo anzitutto che il licenziamento sia nullo, cioè improduttivo di effetti, con la conseguenza che il datore di lavoro dovrà quindi reintegrarlo nel posto di lavoro e corrispondergli un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto.

In generale, l’entità del risarcimento va da un minimo di 5 mensilità a un massimo di 15 se il licenziamento è intimato da datori di lavoro non imprenditori, che salgono tra un minimo di 2 e massimo di 12 se il datore di lavoro ha invece la qualifica di imprenditore.

In aggiunta, oltre al risarcimento anzidetto spetta al lavoratore anche un’indennità contributiva e la rivalutazione delle somme dovute. In questo modo la legge mira a scoraggiare e sanzionare licenziamenti che hanno finalità chiaramente punitive o emarginanti, a tutela della dignità del lavoratore.

Nel caso di licenziamento discriminatorio, è fondamentale contestare tempestivamente il licenziamento, entro 60 (sessanta) giorni, presentando un ricorso al Tribunale del lavoro tramite l’assistenza di un avvocato preferibilmente specializzato in questa materia. Nell’atto vanno esposti in modo chiaro i fatti, le circostanze e le motivazioni per cui si ritiene che il licenziamento sia stato determinato unicamente da ragioni discriminatorie e persecutorie.

In udienza, il Giudice ascolterà le ragioni di entrambe le parti e valuterà le prove presentate, come documenti, intercettazioni acquisite e/o testimonianze. Se riscontrerà la fondatezza delle motivazioni del ricorso, disporrà la nullità del licenziamento obbligando il datore di lavoro, come già detto, a reintegrare il dipendente e a risarcire il danno subito con una somma che va da 5 a 15 mensilità.

Non è un percorso semplice, ma seguendo le tutele legali è possibile reagire a un licenziamento discriminatorio, ripristinare la propria dignità lesa e ottenere una sanzione esemplare nei confronti di una condotta inaccettabile. La legge è dalla parte di chi subisce simili abusi.

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