Il cumulo della carica di amministratore e dipendente: condizioni di ammissibilità

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 2487 del 27 gennaio 2022, torna a pronunciarsi sul regime di compatibilità tra la carica di amministratore di una società e la qualità di dipendente della stessa in capo alla medesima persona chiarendo le condizioni di ammissibilità.

Sommario:
1. Il caso;
2. L’ordinanza della Corte di Cassazione;
3. Conclusioni

1. Il caso – La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 2487 del 27 gennaio 2022, torna a pronunciarsi sul regime di compatibilità tra le posizioni di amministratore di una società e dipendente della stessa in capo alla medesima persona. 

Il caso posto all’attenzione della Suprema Corte riguarda, appunto, un accertamento sulla compatibilità del rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze di una società da parte dei due soci di detta società (entrambi al 50%) i quali, parallelamente, ricoprono anche la carica di membri del C.d.A.

L’iter giudiziario sulla vicenda de qua non è stato conforme ed è bene ripercorrerlo – in breve – per ragioni di chiarezza espositiva.

Anzitutto, la vicenda prende origine da un accertamento dell’INPS che, all’esito di un accertamento ispettivo, ha disconosciuto la natura subordinata dei rapporti di lavoro dei due soggetti in questione (“per il periodo successivo ad agosto 2009”), in quanto entrambi (ed essi soli) ricoprivano anche la carica di membri del C.d.A. della medesima società.

Il Giudice di prime cure, in contrasto con i rilievi proposti dall’Ente, ha accolto l’opposizione della società: la motivazione risiedeva nel fatto che, a parer del Tribunale, l’INPS non avesse assolto l’onere di dimostrare la natura simulata del rapporto contrattuale.

Di contro, in riforma del precedente grado di giudizio, la Corte d’Appello di Firenze, ha rilevato che indipendentemente dalla ripartizione dell’onere probatorio, che la qualità di entrambi di membri del C.d.A. della società (di cui ciascuno dei due era socio al 50%), sia pure con riserva, nella delibera di loro nomina, della necessità di una decisione congiunta di entrambi sulle principali scelte gestionali (comprese quelle relative al personale), ostasse alla costituzione di un vincolo di subordinazione alla società amministrata (e del conseguente potere conformativo di questa sulla loro prestazione lavorativa), per la decisività della volontà di ognuno dei due nella formazione del processo decisionale”.

Dunque, la società ha impugnato tale decisione e, ricorrendo dinanzi alla Corte di Cassazione, ha dedotto:

(i) l’incorretta esclusione del rapporto di lavoro subordinato dei due soci (ciascuno al 50%) e membri del C.d.A. della società, sull’erroneo presupposto di inesistenza di un vincolo di subordinazione, evidenziando altresì che la struttura direttiva della società si basasse sulla necessità di una decisione congiunta di entrambi sulle principali scelte gestionali (comprese quelle relative al personale);

e (ii) la nullità della sentenza, palesemente contraddittoria nelle affermazioni di “irrilevanza di una verifica di corretta allocazione dell’onere probatorio tra le parti (dapprima) e di mancata dimostrazione dalla società delle modalità concrete di esplicitazione del potere conformativo della società sulle prestazioni lavorative dei due amministratori (poi)”, evidenziando che tale prova avrebbe dovuto essere fornita dall’INPS in quanto alla base della propria pretesa contributiva.

2. L’ordinanza della Corte di Cassazione – La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della società ribadendo il principio secondo cui è ammessa la cumulabilità tra la carica di amministratore e l’attività di lavoratore subordinato di una stessa società di capitali, purché sia accertata l’attribuzione di mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale e il vincolo di subordinazione.

La Suprema Corte, nel giungere alle proprie conclusioni, ha richiamato i precedenti giurisprudenziali formatisi in relazione a quest’annosa tematica.

In primis, la Suprema Corte ha ribadito con ferma nettezza “l’incompatibilità della condizione di lavoratore subordinato alle dipendenze della società esclusivamente con la qualifica di amministratore unico di una società”, non potendo, in tal caso, realizzarsi un effettivo assoggettamento della prima figura (lavoratore) ai poteri direttivo, di controllo e disciplinare della seconda figura (carica di amministratore unico), intesi quali elementi caratterizzanti del vincolo di subordinazione.

Di contro, sempre richiamando consolidati precedenti giurisprudenziali (1), la Cassazione ha confermato il principio per cui sono cumulabili la carica di amministratore e l’attività di lavoratore subordinato di una stessa società di capitali, “purché sia accertata, in base ad una prova di cui è necessariamente onerata la parte che intenda far valere il rapporto di lavoro subordinato, l’attribuzione di mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale e il vincolo di subordinazione, ossia l’assoggettamento, nonostante la carica sociale, al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell’organo di amministrazione della società”.

Inoltre, la Suprema Corte ha aggiunto che detta circostanza ricorre ogni qualvolta sia individuabile la formazione di una volontà imprenditoriale distinta, tale da determinare la soggezione del “dipendente-amministratore” ad un potere disciplinare e direttivo esterno, sì che la qualifica di amministratore (carica di amministratore) costituisca uno “schermo” per coprire un’attività costituente, in realtà, un normale lavoro subordinato: così risultandone provata la soggezione al potere direttivo e disciplinare di altri organi della società e l’assenza di autonomi poteri decisionali”. 

Ferme restando le considerazioni in linea di diritto finora richiamate, i Giudici di legittimità hanno statuito anche in relazione al secondo motivo di contestazione dedotto in giudizio dalla società ricorrente: il mancato assolvimento dell’onere della prova da parte dell’Inps.

Assumendo rilievo fondamentale in ottica processuale, la Suprema Corte ha rilevato come, nel caso di specie, “l’onere probatorio in questione spetta all’ente previdenziale, in quanto soggetto tenuto, in linea generale, alla dimostrazione dei fatti costitutivi dell’obbligo contributivo”. 

Ebbene, a parer della Cassazione, la Corte d’Appello ha omesso ogni accertamento “sull’erroneo presupposto, ritenuto ex se dirimente in senso ostativo, della qualità di entrambi i lavoratori di membri del C.d.A. della società (di cui pure ciascuno socio al 50%), nonostante la previsione nella delibera di loro nomina della necessità di una decisione congiunta di entrambi sulle principali scelte gestionali, comprese quelle relative al personale”. Dunque, la Corte di Cassazione ha pienamente accolto il ricorso della società, rilevando, tra le altre, l’assenza, in capo a ciascuno dei due amministratori, di un autonomo potere direttivo sul personale rapporto di lavoro che era invece conferito a un diverso centro decisionale di “amministrazione congiunta sovrapersonale“.

3. Conclusioni – L’ordinanza in commento è indice di un orientamento interpretativo sempre più consolidato in tema di coesistenza tra rapporto di lavoro e carica amministrativa, nonostante le insidiose difficoltà poste dalla materia.

Difficoltà che originano non solo dall’analisi di diritto ma, soprattutto, dalla trasposizione dei principi regolatori teorici alla realtà applicativa.

Si è più volte detto, infatti, che qualsiasi accertamento in ordine alla sussistenza del vincolo di subordinazione deve essere condotto in concreto e non deve essere frutto di una mera “lettura formale” dei nomen iuris attribuiti di volta in volta alle posizioni giuridiche. 

Resta fermo che, come si è avuto modo di vedere, alcune cariche amministrative sono considerate a priori incompatibili con un rapporto di lavoro subordinato, ad esempio, quella dell’Amministratore Unico. 

Con riferimento ad altre cariche, quali i membri di un consiglio di amministrazione (ivi compreso il presidente) oppure un amministratore delegato, invece, sarà necessario valutare – caso per caso ed in concreto – la portata della delega conferita.

A cura degli avv.ti di DLA Piper in Italia Fabrizio Morelli (Partner) e Davide Maria Testa

Note:

(1) Cass. 6 novembre 2013, n. 24972; Cass. 30 settembre 2016, n. 19596.

Collegamenti:

Corte di Cassazione, n. 2487 del 27 gennaio 2022 (non ancora disponibile)

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