Il comporto ai tempi del Coronavirus: i chiarimenti della giurisprudenza

Il Tribunale di Asti, con la sentenza in commento pubblicata il 5 gennaio 2022, ha dichiarato nullo e illegittimo il licenziamento intimato ad una lavoratrice per superamento del periodo del comporto determinato da assenza per malattia da Covid-19.

Il giudice ha chiarito che nei periodi di quarantena e isolamento fiduciario esclusi dal calcolo rientrano anche le misure di isolamento che, nel tempo, sono state previste dalla legge al fine di arginare la diffusione del virus. Non solo, dunque, la manifestazione di sintomi legati al contagio e la mera positività al virus Sars – Covid-19, ma anche i contatti con casi confermati di malattia e il rientro da zone a rischio epidemiologico determinano l’impossibilità ex lege del lavoratore a rendere la prestazione.

La sentenza ha, dunque, esteso anche ad altre ipotesi quanto già previsto dal Decreto Cura Italia (DL 18/2020) che stabiliva la non computabilità ai fini del comporto dei giorni di assenza dal lavoro per quarantena o in permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva.

Obiettivo del Decreto era evitare che ricadessero sui lavoratori le misure di isolamento fiduciario imposte dalla legge.

Si è, dunque, scongiurato il rischio che, dal marzo 2020, i lavoratori dipendenti fossero licenziati per superamento per periodo di comporto durante il quale, nei modi e nei tempi previsti dalla contrattazione collettiva, il lavoratore può assentarsi con diritto alla conservazione del posto.

Al di fuori dai casi di assenza per Covid-19 previsti dalla legislazione emergenziale e dalla recente giurisprudenza, i periodi di malattia determinati da altre patologie rientrano invece nel computo del periodo di comporto il cui superamento può legittimare l’esercizio del potere di recesso del datore di lavoro.

Eroso il comporto, unica chance per ‘prolungare’ il periodo di assenza ed evitare il licenziamento, concessa dalla contrattazione collettiva è la possibilità per il lavoratore di chiedere e, sussistendone i presupposti, ottenere, un ulteriore periodo di aspettativa non retribuita.

Il c.d. licenziamento ‘amministrativo’ dovuto al superamento del periodo di comporto avrebbe potuto, in taluni casi, limitare l’esercizio del diritto a percepire l’indennità di disoccupazione prevista per i lavoratori che abbiano involontariamente perso il proprio lavoro (NASpI) erogabile a condizione che nei 12 mesi precedenti al licenziamento abbiano osservato almeno 30 giornate di lavoro effettivo.

A salvare le sorti dei lavoratori licenziati per superamento del comporto, è intervenuto l’INPS con le circolari nn. 94 e 142/2015 e 2875/2017 precisando che in considerazione della (possibile) difficoltà di reperire 30 giorni di lavoro effettivo durante lunghi periodi di assenza per malattia, l’arco temporale di riferimento ai fini della ricerca del requisito prescritto dalla legge (30 giornate di lavoro effettivo nei 12 mesi che precedono la richiesta di NASpI) deve essere ampliato in misura pari alla durata dell’assenza per malattia.

Resta tuttavia escluso da tale estensione del periodo di computo delle 30 giornate di lavoro il periodo di aspettativa non retribuita di cui il lavoratore abbia eventualmente beneficiato in coda al comporto: in tale ultimo caso il lavoratore, se interessato ad ottenere la NASpI, dovrà verificare di aver rispettato il requisito delle 30 giornate di lavoro applicando le medesime regole previste per coloro che non ne hanno beneficiato.

A cura degli Avv.ti Alessandra Garzya, Partner DLA Piper ed Emma Benini, Avvocato di DLA Piper

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