Rilevanza delle condotte riparatorie e Mediazione penale

c. La Mediazione Penale

Va ribadito che la mediazione penale risulta essere una delle manifestazioni più significative della giustizia riparativa, mirando a porre in risalto gli aspetti relazionali e dando alla persona offesa la possibilità di partecipare personalmente, dando voce alle proprie sofferenze e ai propri bisogni.Il percorso di mediazione può essere avviato in qualsiasi fase del procedimento, ma solamente quando vi è da un lato la disponibilità da parte della persona offesa dall’altra uno spirito consapevole e collaborativo da parte del minore che ha commesso il reato (sarebbe inconcepibile un’induzione forzata a partecipare al percorso, in quanto inficerebbe il significato stesso della mediazione). Tale percorso consiste nell’organizzazione di incontri tra le parti –  in presenza di un mediatore, ovvero di una persona terza e neutrale rispetto al caso trattato – nei quali si consente alle stesse di confrontarsi ed esprimere i loro diversi punti di vista, con la possibilità di trovare una soluzione e un accordo riparativo. Il contenuto dell’accordo non è definibile a priori e può avere il contenuto della natura più varia, dipendendo esso dal caso concreto per il quale si è attivata la mediazione e dal risultato degli incontri tra le parti.Infatti esso non può consistere solo nelle scuse formali alla vittima ovvero nella riparazione sotto forma di un servizio da svolgere per la comunità o per la persona offesa ma nella restituzione di quanto indebitamente sottratto e nell’offerta di un risarcimento congruo per il danno arrecato. L’esito positivo della mediazione verrà comunicato dal mediatore alla magistratura, requirente o giudicante in base al momento del procedimento in cui si è deciso di instaurare una tale percorso, e inciderà in modo favorevole per l’autore del reato, con la possibilità, ad esempio, di un’archiviazione, nel caso in cui la persona offesa abbia deciso di rimettere querela, mentre in caso di reati procedibili d’ufficio, si concretizzerà nella possibilità di ottenere il riconoscimento di circostanze attenuanti ovvero l’ammissione ai riti alternativi in caso di valutazione positiva del comportamento processuale tenuto dall’autore del reato. Considerata l’attuale esigua portata applicativa – nonostante il D.lgs. 36/2018 abbia ampliato la sfera d’azione del presente istituto, portando taluni reati sotto il regime di procedibilità a querela – in sede di riforma della Giustizia Penale sarà necessario ripensare all’ampliamento del raggio d’azione della disposizione, potenzialmente estensibile “a tutti quei reati in cui sia ravvisabile un interesse pubblico al ripristino della situazione che si presenti più forte e pressante di quello della persecuzione penale” alla luce di una più efficace tutela della Vittima del reato conforme allaDirettiva Europea innanzi richiamata.L’assenza di qualsiasi specificazione legislativa circa il contenuto concreto delle condotte riparatorie (individuate nelle restituzioni, intese come il ripristino della situazione preesistente alla commissione del reato, o nel risarcimento del danno civile in forma specifica, se oggettivamente possibile, oppure per equivalente) solleva, inoltre, l’interrogativo su quale sia effettivamente il danno ristorabile quesito, questo, che riceverà risposta solo in sede di applicazione giurisprudenziale.L’applicazione della causa di estinzione ai soli reati puniti a querela rimettibile, richiede sia l’avvenuta riparazione del danno, e, congiuntamente, la cancellazione delle conseguenze dannose del reato (laddove possibile), mentre la circostanza attenuante per ravvedimento operoso del reo,  al fine del suo riconoscimento giudiziale, necessita alternativamente uno dei due contegni di pentimento sopraindicati, potendosi applicare indistintamente a tutte le figure di reato.In dottrina (4) si è ritenuto importante dare rilievo al solo risarcimento del danno, non rivestendo autorità di giudicato nel giudizio civile l’eventuale pronuncia del giudice penale circa l’estinzione del reato.La causa di estinzione del reato, per altro, di norma non comporta l’estinzione delle obbligazioni civili derivanti da illecito.Recentemente, la Suprema Corte ha affermato l’applicabilità dell’istituto anche in sede di giudizio di legittimità (5) affermando che in tema di disciplina transitoria, l’art. 162-ter c.p. acquista efficacia retroattiva, essendo “applicabile anche ai processi in corso alla data di entrata in vigore della presente legge e il giudice dichiara l’estinzione anche quando le condotte riparatorie siano state compiute oltre il termine della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado”. A tale proposito, il comma 3 della Riforma Orlando consente all’imputato “nella prima udienza, fatta eccezione per quella del giudizio di legittimità, successiva alla data di entrata in vigore della presente legge, di chiedere la fissazione di un termine, non superiore a sessanta giorni, per provvedere alle restituzioni, al pagamento di quanto dovuto a titolo di risarcimento e all’eliminazione, ove possibile, delle conseguenze dannose o pericolose del reato […]. Nella stessa udienza l’imputato, qualora dimostri di non poter adempiere, per fatto a lui non addebitabile, nel termine di sessanta giorni, può chiedere al giudice la fissazione di un ulteriore termine, non superiore a sei mesi […]. Con l’assegnazione del termine, il Giudice ordina la sospensione del processo sino alla data della nuova udienza, causando la consequenziale sospensione del decorso del termine prescrizionale.Inoltre l’articolo 35 del D. Lgs 274/00 enuncia testualmente: 1. Il giudice di pace, sentite le parti e l’eventuale persona offesa, dichiara con sentenza estinto il reato, enunciandone la causa nel dispositivo, quando l’imputato dimostra di aver proceduto, prima dell’udienza di comparizione, alla riparazione del danno cagionato dal reato, mediante le restituzioni o il risarcimento, e di aver eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato. 2. Il giudice di pace pronuncia la sentenza di estinzione del reato di cui al comma 1, solo se ritiene le attività risarcitorie e riparatorie idonee a soddisfare le esigenze di riprovazione del reato e quelle di prevenzione. 3. Il giudice di pace può disporre la sospensione del processo, per un periodo non superiore a tre mesi, se l’imputato chiede nell’udienza di comparizione di poter provvedere agli adempimenti di cui al comma 1 e dimostri di non averlo potuto fare in precedenza; in tal caso, il giudice può imporre specifiche prescrizioni.4. Con l’ordinanza di sospensione, il giudice incarica un ufficiale di polizia giudiziaria o un operatore di servizio sociale dell’ente locale di verificare l’effettivo svolgimento delle attivita’ risarcitorie e riparatorie, fissando nuova udienza ad una data successiva al termine del periodo di sospensione. 5. Qualora accerti che le attivita’ risarcitorie o riparatorie abbiano avuto esecuzione, il giudice, sentite le parti e l’eventuale persona offesa, dichiara con sentenza estinto il reato enunciandone la causa nel dispositivo.6. Quando non provvede ai sensi dei commi 1 e 5, il giudice dispone la prosecuzione del procedimento.Il legislatore ha inteso, quindi, attribuire al Giudice di Pace il potere di sindacare la congruità delle attività risarcitorie anche superando l’eventuale dissenso della parte offesa.A tal fine la norma ha previsto che, qualora l’imputato chieda di poter provvedere al risarcimento del danno nel corso della prima udienza di comparizione, il GdP , oltre che assegnare allo stesso un termine per tale adempimento, possa impartire prescrizioni che saranno finalizzate alla eliminazione delle cause del reato.Tanto costituisce un modello efficace a cui improntare i futuri interventi del Legislatore in materia.La scarna giurisprudenza in merito ha stabilito che le condotte consistenti nella riparazione del danno e nell’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato ai fini dell’estinzione dello stesso ai sensi dell’art 35 del D.Leg.vo n 274 /2000 vanno rapportate ad una commisurazione oggettiva del danno, rimessa in ultima analisi alla valutazione del giudice procedente e non alla valutazione e alla richiesta della parte offesa.D’altra parte, è opportuno ricordare che l’istituto introdotto dall’art.35, in linea con i criteri ispiratori dell’intero decreto legislativo, risponde ad un’evidente finalità di deflazione e“velocizzazione” dei procedimenti sebbene non vi è chi non veda allora come tale obiettivo sarebbe oltremodo contraddetto ove si accedesse ad una indiscriminata concessione di un termine, non motivata dal riscontro di precisi precedenti ostacoli alla effettuazione delle condotte riparatorie. In tale quadro si inserisce una recente sentenza del Giudice di Pace di Lanciano(6) che ha stabilito che “le condotte consistenti nella riparazione del danno e nell’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato ai fini dell’estinzione dello stesso ai sensi dell’art 35 del D.Leg.vo nr. 274 /2000 vanno rapportate ad una commisurazione oggettiva del danno, rimessa in ultima analisi alla stima del giudice che procede e non alla valutazione e alla richiesta della parte offesa “.Secondo il Giudice abruzzese, “il fatto di ancorare il quantum alla richiesta della parte offesa svuoterebbe di significato l’esistenza stessa dell’art. 35, poiché è evidente che, nella quasi totalità dei casi di reati a querela, un risarcimento totale del danno reclamato condurrebbe ad una remissione di querela medesima”.In definitiva, con l’art 35 del D.Leg.vo n 274 /2000 il legislatore avrebbe introdotto un nuovo concetto di giustizia che si può definire “giustizia ristorativa”, dal contenuto spiccatamente patrimoniale, nella prospettiva di ristabilire lo status quo ante, di compensare, sul piano economico, gli effetti dell’illecito.La norma sarebbe posta a salvaguardia anche della esigenza di conservare la natura afflittiva della pena e preventiva di ulteriori reati in quanto il giudice può pronunciare l’estinzione del reato solo se le condotte poste in essere siano state idonee a soddisfare le esigenze di riprovazione del reato e di prevenzione.In tali casi, laddove non si raggiungesse un accordo extragiudiziale, la prima udienza di comparizione si risolverebbe solo in una mera formalità burocratica essendo limitata, di regola, a dar atto della mancata volontà’ del denunciante di rimettere la querela, senza attivarsi per cercare la transazione, per fissare il quantum debeatur o per evitare pretese risarcitorie delle volte eccessive, con conseguenze devastanti per l’applicazione della giustizia riparativa voluta dal Legislatore.